via con maggior baldanza or viene in prova, poi che evidente la calunnia truova.
76
E verso la città di Santo Andrea,
dove era il re con tutta la famiglia, e la battaglia singular dovea
esser de la querela de la figlia,
andò Rinaldo quanto andar potea,
fin che vicino giunse a poche miglia; alla città vicino giunse, dove
trovò un scudier ch’avea più fresche nuove:
77
ch’un cavallier istrano era venuto, ch’a difender Ginevra s’avea tolto,
con non usate insegne, e sconosciuto, però che sempre ascoso andava molto;
e che dopo che v’era, ancor veduto
non gli avea alcuno al discoperto il volto; e che ‘l proprio scudier che gli servia, dicea giurando: – Io non so dir chi sia. –
78
Non cavalcaro molto, ch’alle mura
si trovar de la terra e in su la porta. Dalinda andar più inanzi avea paura;
pur va, poi che Rinaldo la conforta. La porta è chiusa, ed a chi n’avea cura
Rinaldo domandò: – Questo ch’importa? E fugli detto: perché ‘l popol tutto
a veder la battaglia era ridutto,
79
che tra Lurcanio e un cavallier istrano si fa ne l’altro capo de la terra,
ove era un prato spazioso e piano;
e che già cominciata hanno la guerra. Aperto fu al signor di Montealbano,
e tosto il portinar dietro gli serra. Per la vota città Rinaldo passa;
ma la donzella al primo albergo lassa:
80
e dice che sicura ivi si stia
fin che ritorni a lei, che sarà tosto; e verso il campo poi ratto s’invia,
dove li dui guerrier dato e risposto molto s’aveano, e davan tuttavia.
Stava Lurcanio di mal cor disposto
contra Ginevra; e l’altro in sua difesa ben sostenea la favorita impresa.
81
Sei cavallier con lor ne lo steccato erano a piedi, armati di corazza,
col duca d’Albania, ch’era montato
s’un possente corsier di buona razza. Come a gran contestabile, a lui dato
la guardia fu del campo e de la piazza: e di veder Ginevra in gran periglio
avea il cor lieto, ed orgoglioso il ciglio.
82
Rinaldo se ne va tra gente e gente; fassi far largo il buon destrier Baiardo: chi la tempesta del suo venir sente,
a dargli via non par zoppo né tardo. Rinaldo vi compar sopra eminente,
e ben rassembra il fior d’ogni gagliardo; poi si ferma all’incontro ove il re siede: ognun s’accosta per udir che chiede.
83
Rinaldo disse al re: – Magno signore, non lasciar la battaglia più seguire;
perché di questi dua qualunche more, sappi ch’a torto tu ‘l lasci morire.
L’un crede aver ragione, ed è in errore, e dice il falso, e non sa di mentire;
ma quel medesmo error che ‘l suo germano a morir trasse, a lui pon l’arme in mano.
84
L’altro non sa se s’abbia dritto o torto; ma sol per gentilezza e per bontade
in pericol si è posto d’esser morto, per non lasciar morir tanta beltade.
Io la salute all’innocenza porto;
porto il contrario a chi usa falsitade. Ma, per Dio, questa pugna prima parti,
poi mi dà audienza a quel ch’io vo’ narrarti. –
85
Fu da l’autorità d’un uom sì degno, come Rinaldo gli parea al sembiante,
sì mosso il re, che disse e fece segno che non andasse più la pugna inante;
al quale insieme ed ai baron del regno e ai cavallieri e all’altre turbe tante
Rinaldo fe’ l’inganno tutto espresso, ch’avea ordito a Ginevra Polinesso.
86
Indi s’offerse di voler provare
coll’arme, ch’era ver quel ch’avea detto. Chiamasi Polinesso; ed ei compare,
ma tutto conturbato ne l’aspetto:
pur con audacia cominciò a negare.
Disse Rinaldo: – Or noi vedrem l’effetto. – L’uno e l’altro era armato, il campo fatto, sì che senza indugiar vengono al fatto.
87
Oh quanto ha il re, quanto ha il suo popul caro che Ginevra a provar s’abbi innocente!
tutti han speranza che Dio mostri chiaro ch’impudica era detta ingiustamente.
Crudel superbo e riputato avaro
fu Polinesso, iniquo e fraudolente; sì che ad alcun miracolo non fia
che l’inganno da lui tramato sia.
88
Sta Polinesso con la faccia mesta,
col cor tremante e con pallida guancia; e al terzo suon mette la lancia in resta. Così Rinaldo inverso lui si lancia,
che disioso di finir la festa,
mira a passargli il petto con la lancia: né discorde al disir seguì l’effetto;
ché mezza l’asta gli cacciò nel petto.
89
Fisso nel tronco lo trasporta in terra, lontan dal suo destrier più di sei braccia. Rinaldo smonta subito, e gli afferra
l’elmo, pria che si levi, e gli lo slaccia: ma quel, che non può far più troppa guerra, gli domanda mercé con umil faccia,
e gli confessa, udendo il re e la corte, la fraude sua che l’ha condutto a morte.
90
Non finì il tutto, e in mezzo la parola e la voce e la vita l’abandona.
Il re, che liberata la figliuola
vede da morte e da fama non buona,
più s’allegra, gioisce e raconsola, che, s’avendo perduta la corona,
ripor se la vedesse allora allora;
sì che Rinaldo unicamente onora.
91
E poi ch’al trar dell’elmo conosciuto l’ebbe, perch’altre volte l’avea visto,
levò le mani a Dio, che d’un aiuto
come era quel, gli avea sì ben provisto. Quell’altro cavallier che, sconosciuto,
soccorso avea Ginevra al caso tristo, ed armato per lei s’era condutto,
stato da parte era a vedere il tutto.
92
Dal re pregato fu di dire il nome,
o di lasciarsi almen veder scoperto, acciò da lui fosse premiato, come
di sua buona intenzion chiedeva il merto. Quel, dopo lunghi preghi, da le chiome
si levò l’elmo, e fe’ palese e certo quel che ne l’altro canto ho da seguire, se grata vi sarà l’istoria udire.
CANTO SESTO
1
Miser chi mal oprando si confida
ch’ognor star debbia il maleficio occulto; che quando ogn’altro taccia, intorno grida l’aria e la terra istessa in ch’è sepulto: e Dio fa spesso che ‘l peccato guida
il peccator, poi ch’alcun dì gli ha indulto, che sé medesmo, senza altrui richiesta,
innavedutamente manifesta.
2
Avea creduto il miser Polinesso
totalmente il delitto suo coprire,
Dalinda consapevole d’appresso
levandosi, che sola il potea dire:
e aggiungendo il secondo al primo eccesso, affrettò il mal che potea differire,
e potea differire e schivar forse;
ma se stesso spronando, a morir corse:
3
e perdé amici a un tempo e vita e stato, e onor, che fu molto più grave danno.
Dissi di sopra, che fu assai pregato il cavallier, ch’ancor chi sia non sanno. Al fin si trasse l’elmo, e ‘l viso amato scoperse, che più volte veduto hanno:
e dimostrò come era Ariodante,
per tutta Scozia lacrimato inante;
4
Ariodante, che Ginevra pianto
avea per morto, e ‘l fratel pianto avea, il re, la corte, il popul tutto quanto:
di tal bontà, di tal valor splendea. Adunque il peregrin mentir di quanto
dianzi di lui narrò, quivi apparea; e fu pur ver che dal sasso marino
gittarsi in mar lo vide a capo chino.
5
Ma (come aviene a un disperato spesso, che da lontan brama e disia la morte,
e l’odia poi che se la vede appresso, tanto gli pare il passo acerbo e forte)
Ariodante, poi ch’in mar fu messo,
si pentì di morire: e come forte
e come destro e più d’ogn’altro ardito, si messe a nuoto e ritornossi al lito;
6
e dispregiando e nominando folle
il desir ch’ebbe di lasciar la vita, si messe a caminar bagnato e molle,
e capitò all’ostel d’un eremita.
Quivi secretamente indugiar volle
tanto, che la novella avesse udita, se del caso Ginevra s’allegrasse,
o pur mesta e pietosa ne restasse.
7
Intese prima, che per gran dolore
ella era stata a rischio di morire
(la fama andò di questo in modo fuore, che ne fu in tutta l’isola che dire):
contrario effetto a quel che per errore credea aver visto con suo gran martire.
Intese poi, come Lurcanio avea
fatta Ginevra appresso il padre rea.
8
Contra il fratel d’ira minor non arse, che per Ginevra già d’amor ardesse;
che troppo empio e crudele atto gli parse, ancora che per lui fatto l’avesse.
Sentendo poi, che per lei non comparse cavallier che difender la volesse
(che Lurcanio sì forte era e gagliardo, ch’ognun d’andargli contra avea riguardo;
9
e chi n’avea notizia, il riputava
tanto discreto, e sì saggio ed accorto, che se non fosse ver quel che narrava,
non si porrebbe a rischio d’esser morto; per questo la più parte dubitava
di non pigliar questa difesa a torto); Ariodante, dopo gran discorsi,
pensò all’accusa del fratello opporsi.
10
– Ah lasso! io non potrei (seco dicea) sentir per mia cagion perir costei:
troppo mia morte fôra acerba e rea, se inanzi a me morir vedessi lei.
Ella è pur la mia donna e la mia dea, questa è la luce pur degli occhi miei:
convien ch’a dritto e a torto, per suo scampo pigli l’impresa, e resti morto in campo.
11
So ch’io m’appiglio al torto; e al torto sia: e ne morrò; né questo mi sconforta,
se non ch’io so che per la morte mia sì bella donna ha da restar poi morta.
Un sol conforto nel morir mi fia,
che, se ‘l suo Polinesso amor le porta, chiaramente veder avrà potuto,
che non s’è mosso ancor per darle aiuto;
12
e me, che tanto espressamente ha offeso, vedrà, per lei salvare, a morir giunto.
Di mio fratello insieme, il quale acceso tanto fuoco ha, vendicherommi a un punto; ch’io lo farò doler, poi che compreso
il fine avrà del suo crudele assunto: creduto vendicar avrà il germano,
e gli avrà dato morte di sua mano. –
13
Concluso ch’ebbe questo nel pensiero, nuove arme ritrovò, nuovo cavallo;
e sopraveste nere, e scudo nero
portò, fregiato a color verdegiallo. Per aventura si trovò un scudiero
ignoto in quel paese, e menato hallo; e sconosciuto (come ho già narrato)
s’appresentò contra il fratello armato.
14
Narrato v’ho come il fatto successe, come fu conosciuto Ariodante.
Non minor gaudio n’ebbe il re, ch’avesse de la figliuola liberata inante.
Seco pensò che mai non si potesse
trovar un più fedele e vero amante; che dopo tanta ingiuria, la difesa
di lei, contra il fratel proprio, avea presa.
15
E per sua inclinazion (ch’assai l’amava) e per li preghi di tutta la corte,
e di Rinaldo, che più d’altri instava, de la bella figliuola il fa consorte.
La duchea d’Albania ch’al re tornava dopo che Polinesso ebbe la morte,
in miglior tempo discader non puote, poi che la dona alla sua figlia in dote.
16
Rinaldo per Dalinda impetrò grazia, che se n’andò di tanto errore esente;
la qual per voto, e perché molto sazia era del mondo, a Dio volse la mente:
monaca s’andò a render fin in Dazia, e si levò di Scozia immantinente.
Ma tempo è ormai di ritrovar Ruggiero, che scorre il ciel su l’animal leggiero.
17
Ben che Ruggier sia d’animo costante, né cangiato abbia il solito colore,
io non gli voglio creder che tremante non abbia dentro più che foglia il core. Lasciato avea di gran spazio distante
tutta l’Europa, ed era uscito fuore per molto spazio il segno che prescritto avea già a’ naviganti Ercole invitto.
18
Quello ippogrifo, grande e strano augello, lo porta via con tal prestezza d’ale,
che lasceria di lungo tratto quello celer ministro del fulmineo strale.
Non va per l’aria altro animal sì snello, che di velocità gli fosse uguale:
credo ch’a pena il tuono e la saetta venga in terra dal ciel con maggior fretta.
19
Poi che l’augel trascorso ebbe gran spazio per linea dritta e senza mai piegarsi,
con larghe ruote, omai de l’aria sazio, cominciò sopra una isola a calarsi;
pari a quella ove, dopo lungo strazio far del suo amante e lungo a lui celarsi, la vergine Aretusa passò invano
di sotto il mar per camin cieco e strano.
20
Non vide né ‘l più bel né ‘l più giocondo da tutta l’aria ove le penne stese;
né se tutto cercato avesse il mondo, vedria di questo il più gentil paese,
ove, dopo un girarsi di gran tondo, con Ruggier seco il grande augel discese: culte pianure e delicati colli,
chiare acque, ombrose ripe e prati molli.
21
Vaghi boschetti di soavi allori,
di palme e d’amenissime mortelle,
cedri ed aranci ch’avean frutti e fiori contesti in varie forme e tutte belle,
facean riparo ai fervidi calori
de’ giorni estivi con lor spesse ombrelle; e tra quei rami con sicuri voli
cantanto se ne gìano i rosignuoli.
22
Tra le purpuree rose e i bianchi gigli, che tiepida aura freschi ognora serba,
sicuri si vedean lepri e conigli,
e cervi con la fronte alta e superba, senza temer ch’alcun gli uccida o pigli, pascano o stiansi rominando l’erba;
saltano i daini e i capri isnelli e destri, che sono in copia in quei luoghi campestri.
23
Come sì presso è l’ippogrifo a terra, ch’esser ne può men periglioso il salto, Ruggier con fretta de l’arcion si sferra, e si ritruova in su l’erboso smalto;
tuttavia in man le redine si serra, che non vuol che ‘l destrier più vada in alto: poi lo lega nel margine marino
a un verde mirto in mezzo un lauro e un pino.
24
E quivi appresso, ove surgea una fonte cinta di cedri e di feconde palme,
pose lo scudo, e l’elmo da la fronte si trasse, e disarmossi ambe le palme;
ed ora alla marina ed ora al monte
volgea la faccia all’aure fresche ed alme, che l’alte cime con mormorii lieti
fan tremolar dei faggi e degli abeti.
25
Bagna talor ne la chiara onda e fresca l’asciutte labra, e con le man diguazza, acciò che de le vene il calor esca
che gli ha acceso il portar de la corazza. Né maraviglia è già ch’ella gl’incresca; che non è stato un far vedersi in piazza: ma senza mai posar, d’arme guernito,
tremila miglia ognor correndo era ito.
26
Quivi stando, il destrier ch’avea lasciato tra le più dense frasche alla fresca ombra, per fuggir si rivolta, spaventato
di non so che, che dentro al bosco adombra: e fa crollar sì il mirto ove è legato,
che de le frondi intorno il piè gli ingombra: crollar fa il mirto, e fa cader la foglia; né succede però che se ne scioglia.
27
Come ceppo talor, che le medolle
rare e vote abbia, e posto al fuoco sia, poi che per gran calor quell’aria molle
resta consunta ch’in mezzo l’empìa, dentro risuona e con strepito bolle
tanto che quel furor truovi la via; così murmura e stride e si corruccia
quel mirto offeso, e al fine apre la buccia.
28
Onde con mesta e flebil voce uscìo
espedita e chiarissima favella,
e disse: – Se tu sei cortese e pio, come dimostri alla presenza bella,
lieva questo animal da l’arbor mio: basti che ‘l mio mal proprio mi flagella, senza altra pena, senza altro dolore
ch’a tormentarmi ancor venga di fuore. –
29
Al primo suon di quella voce torse
Ruggiero il viso, e subito levosse; e poi ch’uscir da l’arbore s’accorse,
stupefatto restò più che mai fosse. A levarne il destrier subito corse;
e con le guance di vergogna rosse:
– Qual che tu sii, perdonami (dicea), o spirto umano, o boschereccia dea.
30
Il non aver saputo che s’asconda
sotto ruvida scorza umano spirto,
m’ha lasciato turbar la bella fronda e far ingiuria al tuo vivace mirto:
ma non restar però, che non risponda chi tu ti sia, ch’in corpo orrido ed irto, con voce e razionale anima vivi;
se da grandine il ciel sempre ti schivi.
31
E s’ora o mai potrò questo dispetto con alcun beneficio compensarte,
per quella bella donna ti prometto, quella che di me tien la miglior parte,
ch’io farò con parole e con effetto, ch’avrai giusta cagion di me lodarte. –
Come Ruggiero al suo parlar fin diede, tremò quel mirto da la cima al piede.
32
Poi si vide sudar su per la scorza, come legno dal bosco allora tratto,
che del fuoco venir sente la forza, poscia ch’invano ogni ripar gli ha fatto; e cominciò: – Tua cortesia mi sforza
a discoprirti in un medesmo tratto
ch’io fossi prima, e chi converso m’aggia in questo mirto in su l’amena spiaggia.
33
Il nome mio fu Astolfo; e paladino
era di Francia, assai temuto in guerra: d’Orlando e di Rinaldo era cugino,
la cui fama alcun termine non serra; e si spettava a me tutto il domìno,
dopo il mio padre Oton, de l’Inghilterra. Leggiadro e bel fui sì, che di me accesi più d’una donna: e al fin me solo offesi.
34
Ritornando io da quelle isole estreme che da Levante il mar Indico lava,
dopo Rinaldo ed alcun’altri insieme meco fur chiusi in parte oscura e cava,
ed onde liberati le supreme
forze n’avean del cavallier di Brava; vêr ponente io venìa lungo la sabbia
che del settentrion sente la rabbia.
35
E come la via nostra e il duro e fello destin ci trasse, uscimmo una matina
sopra la bella spiaggia, ove un castello siede sul mar, de la possente Alcina.
Trovammo lei ch’uscita era di quello, e stava sola in ripa alla marina;
e senza rete e senza amo traea
tutti li pesci al lito, che volea.
36
Veloci vi correvano i delfini,
vi venìa a bocca aperta il grosso tonno; i capidogli coi vecchi marini
vengon turbati dal loro pigro sonno; muli, salpe, salmoni e coracini
nuotano a schiere in più fretta che ponno; pistrici, fisiteri, orche e balene
escon del mar con mostruose schiene.
37
Veggiamo una balena, la maggiore
che mai per tutto il mar veduta fosse: undeci passi e più dimostra fuore
de l’onde salse le spallacce grosse. Caschiamo tutti insieme in uno errore,
perch’era ferma e che mai non si scosse: ch’ella sia una isoletta ci credemo,
così distante a l’un da l’altro estremo.
38
Alcina i pesci uscir facea de l’ acque con semplici parole e puri incanti.
Con la fata Morgana Alcina nacque,
io non so dir s’a un parto o dopo o inanti. Guardommi Alcina; e subito le piacque
l’aspetto mio, come mostrò ai sembianti: e pensò con astuzia e con ingegno
tormi ai compagni; e riuscì il disegno.
39
Ci venne incontra con allegra faccia con modi graziosi e riverenti,
e disse: – Cavallier, quando vi piaccia far oggi meco i vostri alloggiamenti,
io vi farò veder, ne la mia caccia, di tutti i pesci sorti differenti:
chi scaglioso, chi molle e chi col pelo; e saran più che non ha stelle il cielo.
40
E volendo vedere una sirena
che col suo dolce canto acheta il mare, passian di qui fin su quell’altra arena, dove a quest’ora suol sempre tornare. –
E ci mostrò quella maggior balena,
che, come io dissi, una isoletta pare. Io, che sempre fui troppo (e me n’incresce) volonteroso, andai sopra quel pesce.
41
Rinaldo m’accennava, e similmente
Dudon, ch’io non v’andassi: e poco valse. La fata Alcina con faccia ridente,
lasciando gli altri dua, dietro mi salse. La balena, all’ufficio diligente,
nuotando se n’andò per l’onde salse. Di mia sciocchezza tosto fui pentito;
ma troppo mi trovai lungi dal lito.
42
Rinaldo si cacciò ne l’acqua a nuoto per aiutarmi, e quasi si sommerse,
perché levossi un furioso Noto
che d’ombra il cielo e ‘l pelago coperse. Quel che di lui seguì poi, non m’è noto. Alcina a confortarmi si converse;
e quel dì tutto e la notte che venne, sopra quel mostro in mezzo il mar mi tenne.
43
Fin che venimmo a questa isola bella, di cui gran parte Alcina ne possiede,
e l’ha usurpata ad una sua sorella
che ‘l padre già lasciò del tutto erede, perché sola legitima avea quella;
e (come alcun notizia me ne diede,
che pienamente istrutto era di questo) sono quest’altre due nate d’incesto.
44
E come sono inique e scelerate
e piene d’ogni vizio infame e brutto così quella, vivendo in castitate,
posto ha ne le virtuti il suo cor tutto. Contra lei queste due son congiurate;
e già più d’uno esercito hanno istrutto per cacciarla de l’isola, e in più volte più di cento castella l’hanno tolte:
45
né ci terrebbe ormai spanna di terra colei, che Logistilla è nominata,
se non che quinci un golfo il passo serra, e quindi una montagna inabitata,
sì come tien la Scozia e l’Inghilterra il monte e la riviera separata;
né però Alcina né Morgana resta
che non le voglia tor ciò che le resta.
46
Perché di vizi è questa coppia rea, odia colei, perché è pudica e santa.
Ma, per tornare a quel ch’io ti dicea, e seguir poi com’io divenni pianta,
Alcina in gran delizie mi tenea,
e del mio amore ardeva tutta quanta; né minor fiamma nel mio core accese
il veder lei sì bella e sì cortese.
47
Io mi godea le delicate membra;
pareami aver qui tutto il ben raccolto che fra i mortali in più parti si smembra, a chi più ed a chi meno e a nessun molto; né di Francia né d’altro mi rimembra:
stavami sempre a contemplar quel volto: ogni pensiero, ogni mio bel disegno
in lei finia, né passava oltre il segno.
48
Io da lei altretanto era o più amato: Alcina più non si curava d’altri;
ella ogn’altro suo amante avea lasciato, ch’inanzi a me ben ce ne fur degli altri. Me consiglier, me avea dì e notte a lato, e me fe’ quel che commandava agli altri: a me credeva, a me si riportava;
né notte o dì con altri mai parlava.
49
Deh! perché vo le mie piaghe toccando, senza speranza poi di medicina?
perché l’avuto ben vo rimembrando,
quando io patisco estrema disciplina? Quando credea d’esser felice, e quando
credea ch’amar più mi dovesse Alcina, il cor che m’avea dato si ritolse,
e ad altro nuovo amor tutta si volse.
50
Conobbi tardi il suo mobil ingegno, usato amare e disamare a un punto.
Non era stato oltre a duo mesi in regno, ch’un novo amante al loco mio fu assunto. Da sé cacciommi la fata con sdegno,
e da la grazia sua m’ebbe disgiunto: e seppi poi, che tratti a simil porto
avea mill’altri amanti, e tutti a torto.
51
E perché essi non vadano pel mondo
di lei narrando la vita lasciva,
chi qua chi là, per lo terren fecondo li muta, altri in abete, altri in oliva, altri in palma, altri in cedro, altri secondo che vedi me su questa verde riva;
altri in liquido fonte, alcuni in fiera, come più agrada a quella fata altiera.
52
Or tu che sei per non usata via,
signor, venuto all’isola fatale,
acciò ch’alcuno amante per te sia
converso in pietra o in onda, o fatto tale; avrai d’Alcina scettro e signoria,
e sarai lieto sopra ogni mortale:
ma certo sii di giunger tosto al passo d’entrar o in fiera o in fonte o in legno o in sasso.
53
Io te n’ho dato volentieri aviso;
non ch’io mi creda che debbia giovarte: pur meglio fia che non vadi improviso,
e de’ costumi suoi tu sappia parte; che forse, come è differente il viso,
è differente ancor l’ingegno e l’arte. Tu saprai forse riparare al danno,
quel che saputo mill’altri non hanno. –
54
Ruggier, che conosciuto avea per fama ch’Astolfo alla sua donna cugin era,
si dolse assai che in steril pianta e grama mutato avesse la sembianza vera;
e per amor di quella che tanto ama
(pur che saputo avesse in che maniera) gli avria fatto servizio: ma aiutarlo
in altro non potea, ch’in confortarlo.
55
Lo fe’ al meglio che seppe; e domandolli poi se via c’era, ch’al regno guidassi
di Logistilla, o per piano o per colli, sì che per quel d’Alcina non andassi.
Che ben ve n’era un’altra, ritornolli l’arbore a dir, ma piena d’aspri sassi,
s’andando un poco inanzi alla man destra salisse il poggio invêr la cima alpestra.
56
Ma che non pensi già che seguir possa il suo camin per quella strada troppo:
incontro avrà di gente ardita, grossa e fiera compagnia, con duro intoppo.
Alcina ve li tien per muro e fossa
a chi volesse uscir fuor del suo groppo. Ruggier quel mirto ringraziò del tutto,
poi da lui si partì dotto ed istrutto.
57
Venne al cavallo, e lo disciolse e prese per le redine, e dietro se lo trasse;
né, come fece prima, più l’ascese,
perché mal grado suo non lo portasse. Seco pensava come nel paese
di Logistilla a salvamento andasse. Era disposto e fermo usar ogni opra,
che non gli avesse imperio Alcina sopra.
58
Pensò di rimontar sul suo cavallo,
e per l’aria spronarlo a nuovo corso: ma dubitò di far poi maggior fallo;
che troppo mal quel gli ubidiva al morso. – Io passerò per forza, s’io non fallo, – dicea tra sé, ma vano era il discorso.
Non fu duo miglia lungi alla marina, che la bella città vide d’Alcina.
59
Lontan si vide una muraglia lunga
che gira intorno, e gran paese serra; e par che la sua altezza al ciel s’aggiunga, e d’oro sia da l’alta cima a terra.
Alcun dal mio parer qui si dilunga, e dice ch’ell’è alchimia: e forse ch’erra; ed anco forse meglio di me intende:
a me par oro, poi che sì risplende.
60
Come fu presso alle sì ricche mura, che ‘l mondo altre non ha de la lor sorte, lasciò la strada che per la pianura
ampla e diritta andava alle gran porte; ed a man destra, a quella più sicura,
ch’al monte già, piegossi il guerrier forte: ma tosto ritrovò l’iniqua frotta,
dal cui furor gli fu turbata e rotta.
61
Non fu veduta mai più strana torma, più monstruosi volti e peggio fatti:
alcun’ dal collo in giù d’uomini han forma, col viso altri di simie, altri di gatti; stampano alcun con piè caprigni l’orma;
alcuni son centauri agili ed atti;
son gioveni impudenti e vecchi stolti, chi nudi e chi di strane pelli involti.
62
Chi senza freno in s’un destrier galoppa, chi lento va con l’asino o col bue,
altri salisce ad un centauro in groppa, struzzoli molti han sotto, aquile e grue; ponsi altri a bocca il corno, altri la coppa; chi femina è, chi maschio, e chi amendue; chi porta uncino e chi scala di corda,
chi pal di ferro e chi una lima sorda.
63
Di questi il capitano si vedea
aver gonfiato il ventre, e ‘l viso grasso; il qual su una testuggine sedea,
che con gran tardità mutava il passo. Avea di qua e di là chi lo reggea,
perché egli era ebro, e tenea il ciglio basso: altri la fronte gli asciugava e il mento, altri i panni scuotea per fargli vento.
64
Un ch’avea umana forma i piedi e ‘l ventre, e collo avea di cane, orecchie e testa,
contra Ruggiero abaia, acciò ch’egli entre ne la bella città ch’a dietro resta.
Rispose il cavallier: – Nol farò, mentre avrà forza la man di regger questa! –
e gli mostra la spada, di cui volta avea l’aguzza punta alla sua volta.
65
Quel mostro lui ferir vuol d’una lancia, ma Ruggier presto se gli aventa addosso: una stoccata gli trasse alla pancia,
e la fe’ un palmo riuscir pel dosso. Lo scudo imbraccia, e qua e là si lancia, ma l’inimico stuolo è troppo grosso:
l’un quinci il punge, e l’altro quindi afferra: egli s’arrosta, e fa lor aspra guerra.
66
L’un sin a’ denti, e l’altro sin al petto partendo va di quella iniqua razza;
ch’alla sua spada non s’oppone elmetto, né scudo, né panziera, né corazza:
ma da tutte le parti è così astretto, che bisogno saria, per trovar piazza
e tener da sé largo il popul reo,
d’aver più braccia e man che Briareo.
67
Se di scoprire avesse avuto aviso
lo scudo che già fu del negromante
(io dico quel ch’abbarbagliava il viso, quel ch’all’arcione avea lasciato Atlante), subito avria quel brutto stuol conquiso
e fattosel cader cieco davante;
e forse ben, che disprezzò quel modo, perché virtude usar volse, e non frodo.
68
Sia quel che può, più tosto vuol morire, che rendersi prigione a sì vil gente.
Eccoti intanto da la porta uscire
del muro, ch’io dicea d’oro lucente, due giovani ch’ai gesti ed al vestire
non eran da stimar nate umilmente,
né da pastor nutrite con disagi,
ma fra delizie di real palagi.
69
L’una e l’altra sedea s’un liocorno, candido più che candido armelino;
l’una e l’altra era bella, e di sì adorno abito, e modo tanto pellegrino,
che a l’uom, guardando e contemplando intorno, bisognerebbe aver occhio divino
per far di lor giudizio: e tal saria Beltà, s’avesse corpo, e Leggiadria.
70
L’una e l’altra n’andò dove nel prato Ruggiero è oppresso da lo stuol villano. Tutta la turba si levò da lato;
e quelle al cavallier porser la mano, che tinto in viso di color rosato,
le donne ringraziò de l’atto umano: e fu contento, compiacendo loro,
di ritornarsi a quella porta d’oro.
71
L’adornamento che s’aggira sopra
la bella porta e sporge un poco avante, parte non ha che tutta non si cuopra
de le più rare gemme di Levante.
Da quattro parti si riposa sopra
grosse colonne d’integro diamante.
O ver o falso ch’all’occhio risponda, non è cosa più bella o più gioconda.
72
Su per la soglia e fuor per le colonne corron scherzando lascive donzelle,
che, se i rispetti debiti alle donne servasser più, sarian forse più belle.
Tutte vestite eran di verdi gonne,
e coronate di frondi novelle.
Queste, con molte offerte e con buon viso, Ruggier fecero entrar nel paradiso:
73
che si può ben così nomar quel loco, ove mi credo che nascesse Amore.
Non vi si sta se non in danza e in giuoco, e tutte in festa vi si spendon l’ore:
pensier canuto né molto né poco
si può quivi albergare in alcun core: non entra quivi disagio né inopia,
ma vi sta ognor col corno pien la Copia.
74
Qui, dove con serena e lieta fronte par ch’ognor rida il grazioso aprile,
gioveni e donne son: qual presso a fonte canta con dolce e dilettoso stile;
qual d’un arbore all’ombra e qual d’un monte o giuoca o danza o fa cosa non vile;
e qual, lungi dagli altri, a un suo fedele discuopre l’amorose sue querele.
75
Per le cime dei pini e degli allori, degli alti faggi e degl’irsuti abeti,
volan scherzando i pargoletti Amori: di lor vittorie altri godendo lieti,
altri pigliando a saettare i cori,
la mira quindi, altri tendendo reti; chi tempra dardi ad un ruscel più basso, e chi gli aguzza ad un volubil sasso.
76
Quivi a Ruggier un gran corsier fu dato, forte, gagliardo, e tutto di pel sauro,
ch’avea il bel guernimento ricamato di preziose gemme e di fin auro;
e fu lasciato in guardia quello alato, quel che solea ubidire al vecchio Mauro, a un giovene che dietro lo menassi
al buon Ruggier, con men frettosi passi.
77
Quelle due belle giovani amorose
ch’avean Ruggier da l’empio stuol difeso, da l’empio stuol che dianzi se gli oppose su quel camin ch’avea a man destra preso, gli dissero: – Signor, le virtuose
opere vostre che già abbiamo inteso, ne fan sì ardite, che l’aiuto vostro
vi chiederemo a beneficio nostro.
78
Noi troverem tra via tosto una lama, che fa due parti di questa pianura.
Una crudel, che Erifilla si chiama, difende il ponte, e sforza e inganna e fura chiunque andar ne l’altra ripa brama;
ed ella è gigantessa di statura,
li denti ha lunghi e velenoso il morso, acute l’ugne, e graffia come un orso.
79
Oltre che sempre ci turbi il camino, che libero saria se non fosse ella,
spesso, correndo per tutto il giardino, va disturbando or questa cosa or quella. Sappiate che del populo assassino
che vi assalì fuor de la porta bella, molti suoi figli son, tutti seguaci,
empi, come ella, inospiti e rapaci. –
80
Ruggier rispose: – Non ch’una battaglia, ma per voi sarò pronto a farne cento:
di mia persona, in tutto quel che vaglia, fatene voi secondo il vostro intento;
che la cagion ch’io vesto piastra e maglia, non è per guadagnar terre né argento,
ma sol per farne beneficio altrui,
tanto più a belle donne come vui. –
81
Le donne molte grazie riferiro
degne d’un cavallier, come quell’era: e così ragionando ne veniro
dove videro il ponte e la riviera;
e di smeraldo ornata e di zaffiro
su l’arme d’or, vider la donna altiera. Ma dir ne l’altro canto differisco,
come Ruggier con lei si pose a risco.
CANTO SETTIMO
1
Chi va lontan da la sua patria, vede cose, da quel che già credea, lontane;
che narrandole poi, non se gli crede, e stimato bugiardo ne rimane:
che ‘l sciocco vulgo non gli vuol dar fede, se non le vede e tocca chiare e piane.
Per questo io so che l’inesperienza farà al mio canto dar poca credenza.
2
Poca o molta ch’io ci abbia, non bisogna ch’io ponga mente al vulgo sciocco e ignaro. A voi so ben che non parrà menzogna,
che ‘l lume del discorso avete chiaro; ed a voi soli ogni mio intento agogna
che ‘l frutto sia di mie fatiche caro. Io vi lasciai che ‘l ponte e la riviera
vider, che’n guardia avea Erifilla altiera.
3
Quell’era armata del più fin metallo, ch’avean di piu color gemme distinto:
rubin vermiglio, crisolito giallo,
verde smeraldo, con flavo iacinto.
Era montata, ma non a cavallo;
invece avea di quello un lupo spinto: spinto avea un lupo ove si passa il fiume, con ricca sella fuor d’ogni costume.
4
Non credo ch’un sì grande Apulia n’abbia: egli era grosso ed alto più d’un bue.
Con fren spumar non gli facea le labbia, né so come lo regga a voglie sue.
La sopravesta di color di sabbia
su l’arme avea la maledetta lue:
era, fuor che ‘l color, di quella sorte ch’i vescovi e i prelati usano in corte.
5
Ed avea ne lo scudo e sul cimiero
una gonfiata e velenosa botta.
Le donne la mostraro al cavalliero, di qua dal ponte per giostrar ridotta,
e fargli scorno e rompergli il sentiero, come ad alcuni usata era talotta.
Ella a Ruggier, che torni a dietro, grida: quel piglia un’asta, e la minaccia e sfida.
6
Non men la gigantessa ardita e presta sprona il gran lupo e ne l’arcion si serra, e pon la lancia a mezzo il corso in resta, e fa tremar nel suo venir la terra.
Ma pur sul prato al fiero incontro resta; che sotto l’elmo il buon Ruggier l’afferra, e de l’arcion con tal furor la caccia,
che la riporta indietro oltra sei braccia.
7
E già, tratta la spada ch’avea cinta, venìa a levarne la testa superba:
e ben lo potea far, che come estinta Erifilla giacea tra’ fiori e l’erba.
Ma le donne gridar: – Basti sia vinta, senza pigliarne altra vendetta acerba.
Ripon, cortese cavallier, la spada; passiamo il ponte e seguitian la strada. –
8
Alquanto malagevole ed aspretta
per mezzo un bosco presero la via,
che oltra che sassosa fosse e stretta, quasi su dritta alla collina gìa.
Ma poi che furo ascesi in su la vetta, usciro in spaziosa prateria,
dove il più bel palazzo e ‘l più giocondo vider, che mai fosse veduto al mondo.
9
La bella Alcina venne un pezzo inante, verso Ruggier fuor de le prime porte,
e lo raccolse in signoril sembiante, in mezzo bella ed onorata corte.
Da tutti gli altri tanto onore e tante riverenze fur fatte al guerrier forte,
che non potrian far più, se tra loro fosse Dio sceso dal superno coro.
10
Non tanto il bel palazzo era eccellente, perché vincesse ogn’altro di ricchezza,
quanto ch’avea la più piacevol gente che fosse al mondo e di più gentilezza.
Poco era l’un da l’altro differente e di fiorita etade e di bellezza:
sola di tutti Alcina era più bella, sì come è bello il sol più d’ogni stella.
11
Di persona era tanto ben formata,
quanto me’ finger san pittori industri; con bionda chioma lunga ed annodata:
oro non è che più risplenda e lustri. Spargeasi per la guancia delicata
misto color di rose e di ligustri;
di terso avorio era la fronte lieta, che lo spazio finia con giusta meta.
12
Sotto duo negri e sottilissimi archi son duo negri occhi, anzi duo chiari soli, pietosi a riguardare, a mover parchi;
intorno cui par ch’Amor scherzi e voli, e ch’indi tutta la faretra scarchi
e che visibilmente i cori involi:
quindi il naso per mezzo il viso scende, che non truova l’invidia ove l’emende.
13
Sotto quel sta, quasi fra due vallette, la bocca sparsa di natio cinabro;
quivi due filze son di perle elette, che chiude ed apre un bello e dolce labro: quindi escon le cortesi parolette
da render molle ogni cor rozzo e scabro; quivi si forma quel suave riso,
ch’apre a sua posta in terra il paradiso.
14
Bianca nieve è il bel collo, e ‘l petto latte; il collo è tondo, il petto colmo e largo: due pome acerbe, e pur d’avorio fatte,
vengono e van come onda al primo margo, quando piacevole aura il mar combatte.
Non potria l’altre parti veder Argo: ben si può giudicar che corrisponde
a quel ch’appar di fuor quel che s’asconde.
15
Mostran le braccia sua misura giusta; e la candida man spesso si vede
lunghetta alquanto e di larghezza angusta, dove né nodo appar, né vena eccede.
Si vede al fin de la persona augusta il breve, asciutto e ritondetto piede.
Gli angelici sembianti nati in cielo non si ponno celar sotto alcun velo.
16
Avea in ogni sua parte un laccio teso, o parli o rida o canti o passo muova:
né maraviglia è se Ruggier n’è preso, poi che tanto benigna se la truova.
Quel che di lei già avea dal mirto inteso, com’è perfida e ria, poco gli giova;
ch’inganno o tradimento non gli è aviso che possa star con sì soave riso.
17
Anzi pur creder vuol che da costei
fosse converso Astolfo in su l’arena per li suoi portamenti ingrati e rei,
e sia degno di questa e di più pena: e tutto quel ch’udito avea di lei,
stima esser falso; e che vendetta mena, e mena astio ed invidia quel dolente
a lei biasmare, e che del tutto mente.
18
La bella donna che cotanto amava,
novellamente gli è dal cor partita; che per incanto Alcina gli lo lava
d’ogni antica amorosa sua ferita;
e di sé sola e del suo amor lo grava, e in quello essa riman sola sculpita:
sì che scusar il buon Ruggier si deve, se si mostrò quivi incostante e lieve.
19
A quella mensa citare, arpe e lire, e diversi altri dilettevol suoni
faceano intorno l’aria tintinire
d’armonia dolce e di concenti buoni. Non vi mancava chie, cantando, dire
d’amor sapesse gaudi e passioni,
o con invenzioni e poesie
rappresentasse grate fantasie.
20
Qual mensa trionfante e suntuosa
di qualsivoglia successor di Nino,
o qual mai tanto celebre e famosa
di Cleopatra al vincitor latino,
potria a questa esser par, che l’amorosa fata avea posta inanzi al paladino?
Tal non cred’io che s’apparecchi dove ministra Ganimede al sommo Giove.
21
Tolte che fur le mense e le vivande, facean, sedendo in cerchio, un giuoco lieto: che ne l’orecchio l’un l’altro domande,
come più piace lor, qualche secreto; il che agli amanti fu commodo grande
di scoprir l’amor lor senza divieto: e furon lor conclusioni estreme
di ritrovarsi quella notte insieme.
22
Finir quel giuoco tosto, e molto inanzi che non solea là dentro esser costume:
con torchi allora i paggi entrati inanzi, le tenebre cacciar con molto lume.
Tra bella compagnia dietro e dinanzi andò Ruggiero a ritrovar le piume
in una adorna e fresca cameretta,
per la miglior di tutte l’altre eletta.
23
E poi che di confetti e di buon vini di nuovo fatti fur debiti inviti,
e partir gli altri riverenti e chini, ed alle stanze lor tutti sono iti;
Ruggiero entrò ne’ profumati lini
che pareano di man d’Aracne usciti, tenendo tuttavia l’orecchie attente,
s’ancora venir la bella donna sente.
24
Ad ogni piccol moto ch’egli udiva,
sperando che fosse ella, il capo alzava: sentir credeasi, e spesso non sentiva;
poi del suo errore accorto sospirava. Talvolta uscia del letto e l’uscio apriva, guatava fuori, e nulla vi trovava:
e maledì ben mille volte l’ora
che facea al trapassar tanta dimora.
25
Tra sé dicea sovente: – Or si parte ella; – e cominciava a noverare i passi
ch’esser potean da la sua stanza a quella donde aspettando sta che Alcina passi;
e questi ed altri, prima che la bella donna vi sia, vani disegni fassi.
Teme di qualche impedimento spesso, che tra il frutto e la man non gli sia messo.
26
Alcina, poi ch’a’ preziosi odori
dopo gran spazio pose alcuna meta,
venuto il tempo che più non dimori, ormai ch’in casa era ogni cosa cheta,
de la camera sua sola uscì fuori;
e tacita n’andò per via secreta
dove a Ruggiero avean timore e speme gran pezzo intorno al cor pugnato insieme.
27
Come si vide il successor d’Astolfo sopra apparir quelle ridenti stelle,
come abbia ne le vene acceso zolfo, non par che capir possa ne la pelle.
Or sino agli occhi ben nuota nel golfo de le delizie e de le cose belle:
salta del letto, e in braccio la raccoglie, né può tanto aspettar ch’ella si spoglie;
28
ben che né gonna né faldiglia avesse; che venne avolta in un leggier zendado
che sopra una camicia ella si messe, bianca e suttil nel più eccellente grado. Come Ruggiero abbracciò lei, gli cesse
il manto: e restò il vel suttile e rado, che non copria dinanzi né di dietro,
più che le rose o i gigli un chiaro vetro.
29
Non così strettamente edera preme
pianta ove intorno abbarbicata s’abbia, come si stringon li dui amanti insieme,
cogliendo de lo spirto in su le labbia suave fior, qual non produce seme
indo o sabeo ne l’odorata sabbia.
Del gran piacer ch’avean, lor dicer tocca; che spesso avean più d’una lingua in bocca.
30
Queste cose là dentro eran secrete, o se pur non secrete, almen taciute;
che raro fu tener le labra chete
biasmo ad alcun, ma ben spesso virtute. Tutte proferte ed accoglienze liete
fanno a Ruggier quelle persone astute: ognun lo reverisce e se gli inchina;
che così vuol l’innamorata Alcina.
31
Non è diletto alcun che di fuor reste; che tutti son ne l’amorosa stanza.
E due e tre volte il dì mutano veste, fatte or ad una ora ad un’altra usanza.
Spesso in conviti, e sempre stanno in feste, in giostre, in lotte, in scene, in bagno, in danza: or presso ai fonti, all’ombre de’ poggetti, leggon d’antiqui gli amorosi detti;
32
or per l’ombrose valli e lieti colli vanno cacciando le paurose lepri;
or con sagaci cani i fagian folli
con strepito uscir fan di stoppie e vepri; or a’ tordi lacciuoli, or veschi molli
tendon tra gli odoriferi ginepri;
or con ami inescati ed or con reti
turban a’ pesci i grati lor secreti.
33
Stava Ruggiero in tanta gioia e festa, mentre Carlo in travaglio ed Agramante,
di cui l’istoria io non vorrei per questa porre in oblio, né lasciar Bradamante,
che con travaglio e con pena molesta pianse più giorni il disiato amante,
ch’avea per strade disusate e nuove veduto portar via, né sapea dove.
34
Di costei prima che degli altri dico, che molti giorni andò cercando invano
pei boschi ombrosi e per lo campo aprico, per ville, per città, per monte e piano; né mai potè saper del caro amico,
che di tanto intervallo era lontano. Ne l’oste saracin spesso venìa,
né mai del suo Ruggier ritrovò spia.
35
Ogni dì ne domanda a più di cento,
né alcun le ne sa mai render ragioni. D’alloggiamento va in alloggiamento,
cercandone e trabacche e padiglioni: e lo può far; che senza impedimento
passa tra cavallieri e tra pedoni,
mercè all’annel che fuor d’ogni uman uso la fa sparir quando l’è in bocca chiuso.
36
Né può né creder vuol che morto sia; perché di sì grande uom l’alta ruina
da l’onde idaspe udita si saria
fin dove il sole a riposar declina. Non sa né dir né imaginar che via
far possa o in cielo o in terra; e pur meschina lo va cercando, e per compagni mena
sospiri e pianti ed ogni acerba pena.
37
Pensò al fin di tornare alla spelonca dove eran l’ossa di Merlin profeta,
e gridar tanto intorno a quella conca, che ‘l freddo marmo si movesse a pieta;
che se vivea Ruggiero, o gli avea tronca l’alta necessità la vita lieta,
si sapria quindi: e poi s’appiglierebbe a quel miglior consiglio che n’avrebbe.
38
Con questa intenzion prese il camino verso le selve prossime a Pontiero,
dove la vocal tomba di Merlino
era nascosa in loco alpestro e fiero. Ma quella maga che sempre vicino
tenuto a Bradamante avea il pensiero, quella, dico io, che ne la bella grotta
l’avea de la sua stirpe istrutta e dotta;
39
quella benigna e saggia incantatrice, la quale ha sempre cura di costei,
sappiendo ch’esser de’ progenitrice d’uomini invitti, anzi di semidei;
ciascun dì vuol sapere che fa, che dice, e getta ciascun dì sorte per lei.
Di Ruggier liberato e poi perduto,
e dove in India andò, tutto ha saputo.
40
Ben veduto l’avea su quel cavallo
che regger non potea, ch’era sfrenato, scostarsi di lunghissimo intervallo
per sentier periglioso e non usato; e ben sapea che stava in giuoco e in ballo e in cibo e in ozio molle e delicato,
né più memoria avea del suo signore, né de la donna sua, né del suo onore.
41
E così il fior de li begli anni suoi in lunga inerzia aver potria consunto
sì gentil cavallier, per dover poi
perdere il corpo e l’anima in un punto; e quel odor che sol riman di noi,
poscia che ‘l resto fragile è defunto, che tra’ l’uom del sepulcro e in vita il serba, gli saria stato o tronco o svelto in erba.
42
Ma quella gentil maga, che più cura n’avea ch’egli medesmo di se stesso,
pensò di trarlo per via alpestre e dura alla vera virtù, mal grado d’esso:
come eccellente medico, che cura
con ferro e fuoco e con veneno spesso, che se ben molto da principio offende,
poi giova al fine, e grazia se gli rende.
43
Ella non gli era facile, e talmente fattane cieca di superchio amore,
che, come facea Atlante, solamente
a darli vita avesse posto il core.
Quel piu tosto volea che lungamente vivesse e senza fama e senza onore,
che, con tutta la laude che sia al mondo, mancasse un anno al suo viver giocondo.
44
L’avea mandato all’isola d’Alcina,
perché obliasse l’arme in quella corte; e come mago di somma dottrina,
ch’usar sapea gl’incanti d’ogni sorte, avea il cor stretto di quella regina
ne l’amor d’esso d’un laccio sì forte, che non se ne era mai per poter sciorre, s’invecchiasse Ruggier più di Nestorre.
45
Or tornando a colei, ch’era presaga di quanto de’ avvenir, dico che tenne
la dritta via dove l’errante e vaga figlia d’Amon seco a incontrar si venne. Bradamante vedendo la sua maga,
muta la pena che prima sostenne,
tutta in speranza; e quella l’apre il vero: ch’ad Alcina è condotto il suo Ruggiero.
46
La giovane riman presso che morta,
quando ode che ‘l suo amante è così lunge; e più, che nel suo amor periglio porta,
se gran rimedio e subito non giunge: ma la benigna maga la conforta,
e presta pon l’impiastro ove il duol punge, e le promette e giura, in pochi giorni
far che Ruggiero a riveder lei torni.
47
– Da che, donna (dicea), l’annello hai teco, che val contra ogni magico fattura,
io non ho dubbio alcun, che s’io l’arreco là dove Alcina ogni tuo ben ti fura,
ch’io non le rompa il suo disegno, e meco non ti rimeni la tua dolce cura.
Me n’andrò questa sera alla prim’ora, e sarò in India al nascer de l’aurora.
48
E seguitando, del modo narrolle
che disegnato avea d’adoperarlo,
per trar del regno effeminato e molle il caro amante, e in Francia rimenarlo.
Bradamante l’annel del dito tolle;
né solamente avria voluto darlo,
ma dato il core e dato avria la vita, pur che n’avesse il suo Ruggiero aita.
49
Le dà l’annello e se le raccomanda; e più le raccomanda il suo Ruggiero,
a cui per lei mille saluti manda:
poi prese vêr Provenza altro sentiero. Andò l’incantatrice a un’altra banda;
e per porre in effetto il suo pensiero, un palafren fece apparir la sera,
ch’avea un piè rosso, e ogn’altra parte nera.
50
Credo fosse un Alchino o un Farfarello, che da l’Inferno in quella forma trasse; e scinta e scalza montò sopra a quello,
a chiome sciolte e orribilmente passe: ma ben di dito si levò l’annello,
perché gl’incanti suoi non le vietasse. Poi con tal fretta andò, che la matina
si ritrovò ne l’isola d’Alcina.
51
Quivi mirabilmente transmutosse:
s’accrebbe più d’un palmo di statura, e fe’ le membra a proporzion più grosse; e restò a punto di quella misura
che si pensò che ‘l negromante fosse, quel che nutrì Ruggier con sì gran cura. Vestì di lunga barba le mascelle,
e fe’ crespa la fronte e l’altra pelle.
52
Di faccia, di parole e di sembiante sì lo seppe imitar, che totalmente
potea parer l’incantator Atlante.
Poi si nascose, e tanto pose mente, che da Ruggiero allontanar l’amante
Alcina vide un giorno finalmente:
e fu gran sorte; che di stare o d’ire senza esso un’ora potea mal patire.
53
Soletto lo trovò, come lo volle,
che si godea il matin fresco e sereno lungo un bel rio che discorrea d’un colle verso un laghetto limpido ed ameno.
Il suo vestir delizioso e molle
tutto era d’ozio e di lascivia pieno, che de sua man gli avea di seta e d’oro
tessuto Alcina con sottil lavoro.
54
Di ricche gemme un splendido monile gli discendea dal collo in mezzo il petto; e ne l’uno e ne l’altro già virile
braccio girava un lucido cerchietto. Gli avea forato un fil d’oro sottile
ambe l’orecchie, in forma d’annelletto; e due gran perle pendevano quindi,
qua’ mai non ebbon gli Arabi né gl’Indi.
55
Umide avea l’innanellate chiome
de’ più suavi odor che sieno in prezzo: tutto ne’ gesti era amoroso, come
fosse in Valenza a servir donne avezzo: non era in lui di sano altro che ‘l nome; corrotto tutto il resto, e più che mézzo. Così Ruggier fu ritrovato, tanto
da l’esser suo mutato per incanto.
56
Ne la forma d’Atlante se gli affaccia colei, che la sembianza ne tenea,
con quella grave e venerabil faccia che Ruggier sempre riverir solea,
con quello occhio pien d’ira e di minaccia, che sì temuto già fanciullo avea;
dicendo: – È questo dunque il frutto ch’io lungamente atteso ho del sudor mio?
57
Di medolle già d’orsi e di leoni
ti porsi io dunque li primi alimenti; t’ho per caverne ed orridi burroni
fanciullo avezzo a strangolar serpenti, pantere e tigri disarmar d’ungioni
ed a vivi cingial trar spesso i denti, acciò che, dopo tanta disciplina,
tu sii l’Adone o l’Atide d’Alcina?
58
È questo, quel che l’osservate stelle, le sacre fibre e gli accoppiati punti,
responsi, auguri, sogni e tutte quelle sorti, ove ho troppo i miei studi consunti, di te promesso sin da le mammelle
m’avean, come quest’anni fusser giunti: ch’in arme l’opre tue così preclare
esser dovean, che sarian senza pare?
59
Questo è ben veramente alto principio onde si può sperar che tu sia presto
a farti un Alessandro, un Iulio, un Scipio! Chi potea, ohimè! di te mai creder questo, che ti facessi d’Alcina mancipio?
E perché ognun lo veggia manifesto, al collo ed alle braccia hai la catena
con che ella a voglia sua preso ti mena.
60
Se non ti muovon le tue proprie laudi, e l’opre e scelse a chi t’ha il cielo eletto, la tua succession perché defraudi
del ben che mille volte io t’ho predetto? deh, perché il ventre eternamente claudi, dove il ciel vuol che sia per te concetto la gloriosa e soprumana prole
ch’esser de’ al mondo più chiara che ‘l sole?
61
Deh non vietar che le più nobil alme, che sian formate ne l’eterne idee,
di tempo in tempo abbian corporee salme dal ceppo che radice in te aver dee!
Deh non vietar mille trionfi e palme, con che, dopo aspri danni e piaghe ree,
tuoi figli, tuoi nipoti e successori Italia torneran nei primi onori!
62
Non ch’a piegarti a questo tante e tante anime belle aver dovesson pondo,
che chiare, illustri, inclite, invitte e sante son per fiorir da l’arbor tuo fecondo;
ma ti dovria un coppia esser bastante: Ippolito e il fratel; che pochi il mondo ha tali avuti ancor fin al dì d’oggi,
per tutti i gradi onde a virtù si poggi.
63
Io solea più di questi dui narrarti, ch’io non facea di tutti gli altri insieme; sì perché essi terran le maggior parti,
che gli altri tuoi, ne le virtù supreme; sì perché al dir di lor mi vedea darti
più attenzion, che d’altri del tuo seme: vedea goderti che sì chiari eroi
esser dovessen dei nipoti tuoi.
64
Che ha costei che t’hai fatto regina, che non abbian mill’altre meretrici?
costei che di tant’altri è concubina, ch’al fin sai ben s’ella suol far felici. Ma perché tu conosca chi sia Alcina,
levatone le fraudi e gli artifici,
tien questo annello in dito, e torna ad ella, ch’aveder ti potrai come sia bella. –
65
Ruggier si stava vergognoso e muto
mirando in terra, e mal sapea che dire; a cui la maga nel dito minuto
pose l’annello, e lo fe’ risentire. Come Ruggiero in sé fu rivenuto,
di tanto scorno si vide assalire,
ch’esser vorria sotterra mille braccia, ch’alcun veder non lo potesse in faccia.
66
Ne la sua prima forma in uno istante, così parlando, la maga rivenne;
né bisognava più quella d’Atlante,
seguitone l’effetto per che venne.
Per dirvi quel ch’io non vi dissi inante, costei Melissa nominata venne,
ch’or diè a Ruggier di sé notizia vera, e dissegli a che effetto venuta era;
67
mandata da colei, che d’amor piena
sempre il disia, né più può starne senza, per liberarlo da quella catena
di che lo cinse magica violenza:
e preso avea d’Atlante di Carena
la forma, per trovar meglio credenza. Ma poi ch’a sanità l’ha ormai ridutto,
gli vuole aprire e far che veggia il tutto.
68
– Quella donna gentil che t’ama tanto, quella che del tuo amor degna sarebbe,
a cui, se non ti scorda, tu sai quanto tua libertà, da lei servata, debbe;
questo annel che ripara ad ogni incanto, ti manda: e così il cor mandato avrebbe, s’avesse avuto il cor così virtute,
come l’annello, atta alla tua salute. –
69
E seguitò narrandogli l’amore
che Bradamante gli ha portato e porta; di questa insieme comendò il valore,
in quanto il vero e l’affezion comporta; ed usò modo e termine migliore
che si convenga a messaggera accorta: ed in quel odio Alcina a Ruggier pose,
in che soglionsi aver l’orribil cose.
70
In odio gli la pose, ancor che tanto l’amasse dianzi: e non vi paia strano,
quando il suo amor per forza era d’incanto, ch’essendovi l’annel, rimase vano.
Fece l’annel palese ancor, che quanto di beltà Alcina avea, tutto era estrano: estrano avea, e non suo, dal piè alla treccia; il bel ne sparve, e le restò la feccia.
71
Come fanciullo che maturo frutto
ripone, e poi si scorda ove è riposto, e dopo molti giorni è ricondutto
là dove truova a caso il suo deposto, si maraviglia di vederlo tutto
putrido e guasto, e non come fu posto; e dove amarlo e caro aver solia,
l’odia, sprezza, n’ha schivo, e getta via:
72
così Ruggier, poi che Melissa fece
ch’a riveder se ne tornò la fata
con quell’annello inanzi a cui non lece, quando s’ha in dito, usare opra incantata, ritruova, contra ogni sua stima, invece
de la bella, che dianzi avea lasciata, donna sì laida, che la terra tutta
né la più vecchia avea né la più brutta.
73
Pallido, crespo e macilente avea
Alcina il viso, il crin raro e canuto, sua statura a sei palmi non giungea:
ogni dente di bocca era caduto;
che più d’Ecuba e più de la Cumea,
ed avea più d’ogn’altra mai vivuto. Ma sì l’arti usa al nostro tempo ignote, che bella e giovanetta parer puote.
74
Giovane e bella ella si fa con arte, si che molti ingannò come Ruggiero;
ma l’annel venne a interpretar le carte che già molti anni avean celato il vero. Miracol non è dunque, se si parte
de l’animo a Ruggier ogni pensiero
ch’avea d’amare Alcina, or che la truova in guisa, che sua fraude non le giova.
75
Ma come l’avisò Melissa, stette
senza mutare il solito sembiante,
fin che l’arme sue, più dì neglette, si fu vestito dal capo alle piante;
e per non farle ad Alcina suspette, finse provar s’in esse era aiutante,
finse provar se gli era fatto grosso, dopo alcun dì che non l’ha avute indosso.
76
E Balisarda poi si messe al fianco
(che così nome la sua spada avea);
e lo scudo mirabile tolse anco,
che non pur gli occhi abbarbagliar solea, ma l’anima facea sì venir manco,
che dal corpo esalata esser parea.
Lo tolse, e col zendado in che trovollo, che tutto lo copria, sel messe al collo.
77
Venne alla stalla, e fece briglia e sella porre a un destrier più che la pece nero: così Melissa l’avea istrutto; ch’ella
sapea quanto nel corso era leggiero. Chi lo conosce, Rabican l’appella;
ed è quel proprio che col cavalliero del quale i venti or presso al mar fan gioco, portò già la balena in questo loco.
78
Potea aver l’ippogrifo similmente,
che presso a Rabicano era legato;
ma gli avea detto la maga: – Abbi mente, ch’egli è (come tu sai) troppo sfrenato. – E gli diede intenzion che ‘l dì seguente gli lo trarrebbe fuor di quello stato,
là dove ad agio poi sarebbe istrutto come frenarlo e farlo gir per tutto.
79
Né sospetto darà, se non lo tolle,
de la tacita fuga ch’apparecchia.
Fece Ruggier come Melissa volle,
ch’invisibile ognor gli era all’orecchia. Così fingendo, del lascivo e molle
palazzo uscì de la puttana vecchia; e si venne accostando ad una porta,
donde è la via ch’a Logistilla il porta.
80
Assaltò li guardiani all’improviso, e si cacciò tra lor col ferro in mano,
e qual lasciò ferito, e quale ucciso; e corse fuor del ponte a mano a mano:
e prima che n’avesse Alcina aviso,
di molto spazio fu Ruggier lontano. Dirò ne l’altro canto che via tenne;
poi come a Logistilla se ne venne.
CANTO OTTAVO
1
Oh quante sono incantatrici, oh quanti incantator tra noi, che non si sanno!
che con lor arti uomini e donne amanti di sé, cangiando i visi lor, fatto hanno. Non con spirti costretti tali incanti,
né con osservazion di stelle fanno; ma con simulazion, menzogne e frodi
legano i cor d’indissolubil nodi.
2
Chi l’annello d’Angelica, o piu tosto chi avesse quel de la ragion, potria
veder a tutti il viso, che nascosto da finzione e d’arte non saria.
Tal ci par bello e buono, che, deposto il liscio, brutto e rio forse parria.
Fu gran ventura quella di Ruggiero, ch’ebbe l’annel che gli scoperse il vero.
3
Ruggier (come io dicea) dissimulando, su Rabican venne alla porta armato:
trovò le guardie sprovedute, e quando giunse tra lor, non tenne il brando a lato. Chi morto e chi a mal termine lasciando, esce del ponte, e il rastrello ha spezzato: prende al bosco la via; ma poco corre,
ch’ad un de’ servi de la fata occorre.
4
Il servo in pugno avea un augel grifagno che volar con piacer facea ogni giorno,
ora a campagna, ora a un vicino stagno, dove era sempre da far preda intorno:
avea da lato il can fido compagno:
cavalcava un ronzin non troppo adorno. Ben pensò che Ruggier dovea fuggire,
quando lo vide in tal fretta venire.
5
Se gli fe’ incontra, e con sembiante altiero gli domandò perché in tal fretta gisse.
Risponder non gli volse il buon Ruggiero: perciò colui, più certo che fuggisse,
di volerlo arrestar fece pensiero;
e distendendo il braccio manco, disse: – Che dirai tu, se subito ti fermo?
se contra questo augel non avrai schermo? –
6
Spinge l’augello: e quel batte sì l’ale, che non l’avanza Rabican di corso.
Del palafreno il cacciator giù sale, e tutto a un tempo gli ha levato il morso. Quel par da l’arco uno aventato strale,
di calci formidabile e di morso;
e ‘l servo dietro sì veloce viene,
che par ch’il vento, anzi che il fuoco il mene.
7
Non vuol parere il can d’esser più tardo; ma segue Rabican con quella fretta
con che le lepri suol seguire il pardo. Vergogna a Ruggier par, se non aspetta.
Voltasi a quel che vien sì a piè gagliardo; né gli vede arme, fuor ch’una bacchetta, quella con che ubidire al cane insegna:
Ruggier di trar la spada si disdegna.
8
Quel se gli appressa, e forte lo percuote: lo morde a un tempo il can nel piede manco. Lo sfrenato destrier la groppa scuote
tre volte e più, né falla il destro fianco. Gira l’augello e gli fa mille ruote,
e con l’ugna sovente il ferisce anco: sì il destrier collo strido impaurisce,
ch’alla mano e allo spron poco ubidisce.
9
Ruggiero, al fin costretto, il ferro caccia: e perché tal molestia se ne vada,
or gli animali, or quel villan minaccia col taglio e con la punta de la spada.
Quella importuna turba più l’impaccia: presa ha chi qua chi là tutta la strada. Vede Ruggiero il disonore e il danno
che gli avverrà, se più tardar lo fanno.
10
Sa ch’ogni poco più ch’ivi rimane,
Alcina avrà col populo alle spalle: di trombe, di tamburi e di campane
già s’ode alto rumore in ogni valle. Contra un servo senza arme e contra un cane gli par ch’a usar la spada troppo falle: meglio e più breve è dunque che gli scopra lo scudo che d’Atlante era stato opra.
11
Levò il drappo vermiglio in che coperto già molti giorni lo scudo si tenne.
Fece l’effetto mille volte esperto
il lume, ove a ferir negli occhi venne: resta dai sensi il cacciator deserto,
cade il cane e il ronzin, cadon le penne, ch’in aria sostener l’augel non ponno.
Lieto Ruggier li lascia in preda al sonno.
12
Alcina, ch’avea intanto avuto aviso di Ruggier, che sforzato avea la porta,
e de la guardia buon numero ucciso, fu, vinta dal dolor, per restar morta.
Squarciossi i panni e si percosse il viso, e sciocca nominossi e malaccorta;
e fece dar all’arme immantinente,
e intorno a sé raccor tutta sua gente.
13
E poi ne fa due parti, e manda l’una per quella strada ove Ruggier camina;
al porto l’altra subito raguna,
imbarca, ed uscir fa ne la marina:
sotto le vele aperte il mar s’imbruna. Con questi va la disperata Alcina,
che ‘l desiderio di Ruggier sì rode, che lascia sua città senza custode.
14
Non lascia alcuno a guardia del palagio: il che a Melissa che stava alla posta
per liberar di quel regno malvagio
la gente ch’in miseria v’era posta, diede commodità, diede grande agio
di gir cercando ogni cosa a sua posta, imagini abbruciar, suggelli torre,
e nodi e rombi e turbini disciorre.
15
Indi pei campi accelerando i passi, gli antiqui amanti, ch’erano in gran torma conversi in fonti, in fere, in legni, in sassi, fe’ ritornar ne la lor prima forma.
E quei, poi ch’allargati furo i passi, tutti del buon Ruggier seguiron l’orma:
a Logistilla si salvaro; ed indi
tornaro a Sciti, a Persi, a Greci, ad Indi.
16
Li rimandò Melissa in lor paesi,
con obligo di mai non esser sciolto. Fu inanzi agli altri il duca degl’Inglesi ad esser ritornato in uman volto;
che ‘l parentado in questo e li cortesi prieghi del buon Ruggier gli giovar molto: oltre i prieghi, Ruggier le diè l’annello, acciò meglio potesse aiutar quello.
17
A’ prieghi dunque di Ruggier, rifatto fu ‘l paladin ne la sua prima faccia.
Nulla pare a Melissa d’aver fatto,
quando ricovrar l’arme non gli faccia, e quella lancia d’or, ch’al primo tratto quanti ne tocca de la sella caccia:
de l’Argalia, poi fu d’Astolfo lancia, e molto onor fe’ all’uno e a l’altro in Francia.
18
Trovò Melissa questa lancia d’oro,
ch’Alcina avea reposta nel palagio, e tutte l’arme che del duca foro,
e gli fur tolte ne l’ostel malvagio. Montò il destrier del negromante moro,
e fe’ montar Astolfo in groppa ad agio; e quindi a Logistilla si condusse
d’un’ora prima che Ruggier vi fusse.
19
Tra duri sassi e folte spine gìa
Ruggiero intanto invêr la fata saggia, di balzo in balzo, e d’una in altra via
aspra, solinga, inospita e selvaggia; tanto ch’a gran fatica riuscia
su la fervida nona in una spiaggia
tra ‘l mare e ‘l monte, al mezzodì scoperta, arsiccia, nuda, sterile e deserta.
20
Percuote il sole ardente il vicin colle; e del calor che si riflette a dietro,
in modo l’aria e l’arena ne bolle,
che saria troppo a far liquido il vetro. Stassi cheto ogni augello all’ombra molle: sol la cicala col noioso metro
fra i densi rami del fronzuto stelo le valli e i monti assorda, e il mare e il cielo.
21
Quivi il caldo, la sete, e la fatica ch’era di gir per quella via arenosa,
facean, lungo la spiaggia erma ed aprica, a Ruggier compagnia grave e noiosa.