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che sia del veder privo e de l’udire. –

38
La magnanima donna, a cui fu grata
sempre ogni impresa che può farla degna d’esser con laude e gloria nominata,
subito al ponte di venir disegna:
ed ora tanto più, ch’è disperata,
vien volentier, quando anco a morir vegna; che credendosi, misera! esser priva
del suo Ruggiero, ha in odio d’esser viva.

39
– Per quel ch’io vaglio, giovane amorosa (rispose Bradamante), io m’offerisco
di far l’impresa dura e perigliosa, per altre cause ancor, ch’io preterisco; ma più, che del tuo amante narri cosa
che narrar di pochi uomini avvertisco, che sia in amor fedel; ch’a fé ti giuro
ch’in ciò pensai ch’ognun fosse pergiuro. –

40
Con un sospir quest’ultime parole
finì, con un sospir ch’uscì dal core; poi disse: – Andiamo; – e nel seguente sole giunsero al fiume, al passo pien d’orrore. Scoperte da la guardia che vi suole
farne segno col corno al suo signore, il pagan s’arma; e quale è ‘l suo costume, sul ponte s’apparecchia in ripa al fiume:

41
e come vi compar quella guerriera,
di porla a morte subito minaccia,
quando de l’arme e del destrier su ch’era, al gran sepolcro oblazion non faccia.
Bradamante che sa l’istoria vera,
come per lui morta Issabella giaccia, che Fiordiligi detto le l’avea,
al Saracin superbo rispondea:

42
– Perché vuoi tu, bestial, che gli innocenti facciano penitenza del tuo fallo?
Del sangue tuo placar costei convienti: tu l’uccidesti, e tutto ‘l mondo sallo.
Sì che di tutte l’arme e guernimenti di tanti che gittati hai da cavallo,
oblazione e vittima più accetta
avrà, ch’io te l’uccida in sua vendetta.

43
E di mia man le fia più grato il dono, quando, come ella fu, son donna anch’io: né qui venuta ad altro effetto sono,
ch’a vendicarla; e questo sol disio. Ma far tra noi prima alcun patto è buono, che ‘l tuo valor si compari col mio.
S’abbattuta sarò, di me farai
quel che degli altri tuoi prigion fatt’hai:

44
ma s’io t’abbatto, come io credo e spero, guadagnar voglio il tuo cavallo e l’armi, e quelle offerir sole al cimitero,
e tutte l’altre distaccar da’ marmi; e voglio che tu lasci ogni guerriero. –
Rispose Rodomonte: – Giusto parmi
che sia come tu di’; ma i prigion darti già non potrei, ch’io non gli ho in queste parti.

45
Io gli ho al mio regno in Africa mandati: ma ti prometto, e ti do ben la fede,
che se m’avvien per casi inopinati
che tu stia in sella e ch’io rimanga a piede, farò che saran tutti liberati
in tanto tempo quanto si richiede
di dare a un messo ch’in fretta si mandi e far quel che, s’io perdo, mi commandi.

46
Ma s’a te tocca star di sotto, come piu si conviene, e certo so che fia,
non vo’ che lasci l’arme, né il tuo nome, come di vinta, sottoscritto sia:
al tuo bel viso, a’ begli occhi, alle chiome, che spiran tutti amore e leggiadria,
voglio donar la mia vittoria; e basti che ti disponga amarmi, ove m’odiasti.

47
Io son di tal valor, son di tal nerbo, ch’aver non déi d’andar di sotto a sdegno. – Sorrise alquanto, ma d’un riso acerbo
che fece d’ira, più che d’altro, segno, la donna, né rispose a quel superbo;
ma tornò in capo al ponticel di legno, spronò il cavallo, e con la lancia d’oro venne a trovar quell’orgoglioso Moro.

48
Rodomonte alla giostra s’apparecchia: viene a gran corso; ed è sì grande il suono che rende il ponte, ch’intronar l’orecchia può forse a molti che lontan ne sono.
La lancia d’oro fe’ l’usanza vecchia; che quel pagan, sì dianzi in giostra buono, levò di sella, e in aria lo sospese,
indi sul ponte a capo in giù lo stese.

49
Nel trapassar ritrovò a pena loco
ove entrar col destrier quella guerriera; e fu a gran risco, e ben vi mancò poco,
ch’ella non traboccò ne la riviera: ma Rabicano, il quale il vento e ‘l fuoco concetto avean, sì destro ed agil era,
che nel margine estremo trovò strada; e sarebbe ito anco su ‘n fil di spada.

50
Ella si volta, e contra l’abbattuto pagan ritorna; e con leggiadro motto:
– Or puoi (disse) veder chi abbia perduto, e a chi di noi tocchi di star di sotto. – Di maraviglia il pagan resta muto,
ch’una donna a cader l’abbia condotto; e far risposta non poté o non volle,
e fu come uom pien di stupore e folle.

51
Di terra si levò tacito e mesto;
e poi ch’andato fu quattro o sei passi, lo scudo e l’elmo, e de l’altre arme il resto tutto si trasse, e gittò contra i sassi; e solo e a piè fu a dileguarsi presto:
non che commission prima non lassi
a un suo scudier, che vada a far l’effetto dei prigion suoi, secondo che fu detto.

52
Partissi; e nulla poi più se n’intese, se non che stava in una grotta scura.
Intanto Bradamante avea sospese
di costui l’arme all’alta sepoltura, e fattone levar tutto l’arnese,
il qual dei cavallieri, alla scrittura, conobbe de la corte esser di Carlo;
non levò il resto, e non lasciò levarlo.

53
Oltr’a quel del figliuol di Monodante, v’è quel di Sansonetto e d’Oliviero,
che per trovare il principe d’Anglante, quivi condusse il più dritto sentiero.
Quivi fur presi, e furo il giorno inante mandati via dal Saracino altiero.
Di questi l’arme fe’ la donna torre da l’alta mole, e chiuder ne la torre.

54
Tutte l’altre lasciò pender dai sassi, che fur spogliate ai cavallier pagani.
V’eran l’arme d’un re, del quale i passi per Frontalatte mal fur spesi e vani:
io dico l’arme del re de’ Circassi, che dopo lungo errar per colli e piani,
venne quivi a lasciar l’altro destriero; e poi senz’arme andossene leggiero.

55
S’era partito disarmato e a piede
quel re pagan dal periglioso ponte, sì come gli altri ch’eran di sua fede,
partir da sé lasciava Rodomonte.
Ma di tornar più al campo non gli diede il cor; ch’ivi apparir non avria fronte: che per quel che vantossi, troppo scorno gli saria farvi in tal guisa ritorno.

56
Di pur cercar nuovo desir lo prese
colei che sol avea fissa nel core.
Fu l’aventura sua, che tosto intese (io non vi saprei dir chi ne fu autore)
ch’ella tornava verso il suo paese: onde esso, come il punge e sprona Amore, dietro alla pesta subito si pone.
Ma tornar voglio alla figlia d’Amone.

57
Poi che narrato ebbe con altro scritto come da lei fu liberato il passo;
a Fiordiligi ch’avea il core afflitto, e tenea il viso lacrimoso e basso,
domandò umanamente ov’ella dritto
volea che fosse, indi partendo, il passo. Rispose Fiordiligi: – Il mio camino
vo’ che sia in Arli al campo saracino,

58
ove navilio e buona compagnia
spero trovar da gir ne l’altro lito. Mai non mi fermerò fin ch’io non sia
venuta al mio signore e mio marito. Voglio tentar, perché in prigion non stia, più modi e più; che se mi vien fallito
questo che Rodomonte t’ha promesso, ne voglio avere uno ed un altro appresso. –

59
– Io m’offerisco (disse Bradamante) d’accompagnarti un pezzo de la strada,
tanto che tu ti vegga Arli davante, ove per amor mio vo’ che tu vada
a trovar quel Ruggier del re Agramante, che del suo nome ha piena ogni contrada; e che gli rendi questo buon destriero,
onde abbattuto ho il Saracino altiero.

60
Voglio ch’a punto tu gli dica questo: – Un cavallier che di provar si crede,
e fare a tutto ‘l mondo manifesto
che contra lui sei mancator di fede; acciò ti trovi apparecchiato e presto,
questo destrier, perch’io tel dia, mi diede. Dice che trovi tua piastra e tua maglia, e che l’aspetti a far teco battaglia. –

61
Digli questo, e non altro; e se quel vuole saper da te ch’io son, di’ che nol sai. – Quella rispose umana come suole:
– Non sarò stanca in tuo servizio mai, spender la vita, non che le parole;
che tu ancora per me così fatto hai. – Grazie le rende Bradamante, e piglia
Frontino, e le lo porge per la briglia.

62
Lungo il fiume le belle e pellegrine giovani vanno a gran giornate insieme,
tanto che veggono Arli, e le vicine rive odon risonar del mar che freme.
Bradamante si ferma alle confine
quasi de’ borghi ed alle sbarre estreme, per dare a Fiordiligi atto intervallo,
che condurre a Ruggier possa il cavallo.

63
Vien Fiordiligi, ed entra nel rastrello, nel ponte e ne la porta; e seco prende
chi le fa compagnia fin all’ostello ove abita Ruggiero, e quivi scende;
e, secondo il mandato, al damigello fa l’imbasciata, e il buon Frontin gli rende: indi va, che risposta non aspetta,
ad eseguire il suo bisogno in fretta.

64
Ruggier riman confuso e in pensier grande, e non sa ritrovar capo né via
di saper chi lo sfide, e chi gli mande a dire oltraggio e a fargli cortesia.
Che costui senza fede lo domande,
o possa domandar uomo che sia,
non sa veder né imaginare; e prima, ch’ogn’altro sia che Bradamante, istima.

65
Che fosse Rodomonte, era più presto ad aver, che fosse altri, opinione;
e perché ancor da lui debba udir questo, pensa, né imaginar può la cagione.
Fuor che con lui, non sa di tutto ‘l resto del mondo, con chi lite abbia e tenzone. Intanto la donzella di Dordona
chiede battaglia, e forte il corno suona.

66
Vien la nuova a Marsilio e ad Agramante, ch’un cavallier di fuor chiede battaglia. A caso Serpentin loro era avante,
ed impetrò di vestir piastra e maglia, e promesse pigliar questo arrogante.
Il popul venne sopra la muraglia;
né fanciullo restò, né restò veglio, che non fosse a veder chi fêsse meglio.

67
Con ricca sopravesta e bello arnese Serpentin da la Stella in giostra venne. Al primo scontro in terra si distese:
il destrier aver parve a fuggir penne. Dietro gli corse la donna cortese,
e per la briglia al Saracin lo tenne, e disse: – Monta, e fa che ‘l tuo signore mi mandi un cavallier di te migliore. –

68
Il re african, ch’era con gran famiglia sopra le mura alla giostra vicino,
del cortese atto assai si maraviglia, ch’usato ha la donzella a Serpentino.
– Di ragion può pigliarlo, e non lo piglia, – diceva, udendo il popul saracino.
Serpentin giunge, e come ella commanda, un miglior da sua parte al re domanda.

69
Grandonio di Volterna furibondo,
il più superbo cavallier di Spagna, pregando fece sì, che fu il secondo,
ed uscì con minacce alla campagna.
– Tua cortesia nulla ti vaglia al mondo; che, quando da me vinto tu rimagna,
al mio signor menar preso ti voglio: ma qui morrai, s’io posso, come soglio. –

70
La donna disse lui: – Tua villania
non vo’ che men cortese far mi possa, ch’io non ti dica che tu torni pria
che sul duro terren ti doglian l’ossa. Ritorna, e di’ al tuo re da parte mia,
che per simile a te non mi son mossa; ma per trovar guerrier che ‘l pregio vaglia, son qui venuta a domandar battaglia. –

71
Il mordace parlare, acre ed acerbo, gran fuoco al cor del Saracino attizza;
sì che senza poter replicar verbo,
volta il destrier con colera e con stizza. Volta la donna, e contra quel superbo
la lancia d’oro e Rabicano drizza.
Come l’asta fatal lo scudo tocca,
coi piedi al cielo il Saracin trabocca.

72
Il destrier la magnanima guerriera
gli prese, e disse: – Pur tel prediss’io, che far la mia imbasciata meglio t’era,
che de la giostra aver tanto disio. Di’, al re, ti prego, che fuor de la schiera elegga un cavallier che sia par mio;
né voglia con voi altri affaticarme, ch’avete poca esperienza d’arme. –

73
Quei da le mura, che stimar non sanno chi sia il guerriero in su l’arcion sì saldo, quei più famosi nominando vanno,
che tremar li fan spesso al maggior caldo. Che Brandimarte sia, molti detto hanno:
la più parte s’accorda esser Rinaldo: molti su Orlando avrian fatto disegno;
ma il suo caso sapean di pietà degno.

74
La terza giostra il figlio di Lanfusa chiedendo, disse: – Non che vincer speri, ma perché di cader più degna scusa
abbian, cadendo anch’io, questi guerrieri. – E poi di tutto quel ch’in giostra s’usa
si messe in punto; e di cento destrieri che tenea in stalla, d’un tolse l’eletta, ch’avea il correre acconcio, e di gran fretta.

75
Contra la donna per giostrar si fece; ma prima salutolla, ed ella lui.
Disse la donna: – Se saper mi lece, ditemi in cortesia che siate vui. –
Di questo Ferraù le satisfece,
ch’usò di rado di celarsi altrui.
Ella soggiunse: – Voi già non rifiuto, ma avria più volentieri altri voluto. –

76
– E chi? – Ferraù disse. Ella rispose: – Ruggiero; – e a pena il poté proferire, e sparse d’un color come di rose
la bellissima faccia in questo dire. Soggiunse al detto poi: – Le cui famose
lode a tal prova m’han fatto venire. Altro non bramo, e d’altro non mi cale,
che di provar come egli in giostra vale. –

77
Semplicemente disse le parole
che forse alcuno ha già prese a malizia. Rispose Ferraù: – Prima si vuole
provar tra noi chi sa più di milizia. Se di me avvien quel che di molti suole, poi verrà ad emendar la mia tristizia
quel gentil cavallier che tu dimostri aver tanto desio che teco giostri. –

78
Parlando tuttavolta la donzella
teneva la visiera alta dal viso.
Mirando Ferraù la faccia bella,
si sente rimaner mezzo conquiso,
e taciturno dentro a sé favella:
– Questo un angel mi par del paradiso; e ancor che con la lancia non mi tocchi, abbattuto son già da’ suoi begli occhi. –

79
Preson del campo; e come agli altri avvenne, Ferraù se n’uscì di sella netto.
Bradamante il destrier suo gli ritenne, e disse: – Torna, e serva quel c’hai detto. – Ferraù vergognoso se ne venne,
e ritrovò Ruggier ch’era al cospetto del re Agramante; e gli fece sapere
ch’alla battaglia il cavallier lo chere.

80
Ruggier non conoscendo ancor chi fosse chi a sfidar lo mandava alla battaglia,
quasi certo di vincere, allegrosse; e le piastre arrecar fece e la maglia:
né l’aver visto alle gravi percosse, che gli altri sian caduti, il cor gli smaglia. Come s’armasse, e come uscisse, e quanto poi ne seguì, lo serbo all’altro canto.

CANTO TRENTASEIESIMO

1
Convien ch’ovunque sia, sempre cortese sia un cor gentil, ch’esser non può altrimente; che per natura e per abito prese
quel che di mutar poi non è possente. Convien ch’ovunque sia, sempre palese
un cor villan si mostri similmente. Natura inchina al male, e viene a farsi
l’abito poi difficile a mutarsi.

2
Di cortesia, di gentilezza esempi
fra gli antiqui guerrier si vider molti, e pochi fra i moderni; ma degli empi
costumi avvien ch’assai ne vegga e ascolti in quella guerra, Ippolito, che i tempi
di segni ornaste agli nimici tolti, e che traeste lor galee captive
di preda carche alle paterne rive.

3
Tutti gli atti crudeli ed inumani
ch’usasse mai Tartaro o Turco o Moro, (non già con volontà de’ Veneziani,
che sempre esempio di giustizia foro), usaron l’empie e scelerate mani
di rei soldati, mercenari loro.
Io non dico or di tanti accesi fuochi ch’arson le ville e i nostri ameni lochi:

4
ben che fu quella ancor brutta vendetta, massimamente contra voi, ch’appresso
Cesare essendo, mentre Padua stretta era d’assedio, ben sapea che spesso
per voi più d’una fiamma fu interdetta, e spento il fuoco ancor, poi che fu messo, da villaggi e da templi, come piacque,
all’alta cortesia che con voi nacque.

5
Io non parlo di questo né di tanti
altri lor discortesi e crudeli atti; ma sol di quel che trar dai sassi i pianti debbe poter, qual volta se ne tratti:
quel dì, Signor, che la famiglia inanti vostra mandaste là dove ritratti
dai legni lor con importuni auspici s’erano in luogo forte gl’inimici.

6
Qual Ettorre ed Enea sin dentro ai flutti, per abbruciar le navi greche, andaro;
un Ercol vidi e un Alessandro, indutti da troppo ardir, partirsi a paro a paro, e spronando i destrier, passarci tutti,
e i nemici turbar fin nel riparo,
e gir sì inanzi, ch’al secondo molto aspro fu il ritornare, e al primo tolto.

7
Salvossi il Ferruffin, restò il Cantelmo. Che cor, duca di Sora, che consiglio
fu allora il tuo, che trar vedesti l’elmo fra mille spade al generoso figlio,
e menar preso a nave, e sopra un schelmo troncargli il capo? Ben mi maraviglio
che darti morte lo spettacol solo
non poté, quanto il ferro a tuo figliuolo.

8
Schiavon crudele, onde hai tu il modo appreso de la milizia? In qual Scizia s’intende
ch’uccider si debba un, poi che gli è preso, che rende l’arme, e più non si difende?
Dunque uccidesti lui, perché ha difeso la patria? Il sole a torto oggi risplende, crudel seculo, poi che pieno sei
di Tiesti, di Tantali e di Atrei.

9
Festi, barbar crudel, del capo scemo il più ardito garzon che di sua etade
fosse da un polo e l’altro, e da l’estremo lito degl’Indi a quello ove il sol cade. Potea in Antropofàgo, in Polifemo
la beltà e gli anni suoi trovar pietade; ma non in te, più crudo e più fellone
d’ogni Ciclope e d’ogni Lestrigone.

10
Simile esempio non credo che sia
fra gli antiqui guerrier, di quai li studi tutti fur gentilezza e cortesia;
né dopo la vittoria erano crudi.
Bradamante non sol non era ria
a quei ch’avea, toccando lor gli scudi, fatto uscir de la sella, ma tenea
loro i cavalli, e rimontar facea.

11
Di questa donna valorosa e bella
io vi dissi di sopra, che abbattuto avea Serpentin quel da la Stella,
Grandonio di Volterra e Ferrauto,
e ciascun d’essi poi rimesso in sella; e dissi ancor che ‘l terzo era venuto,
da lei mandato a disfidar Ruggiero, là dove era stimata un cavalliero.

12
Ruggier tenne lo ‘nvito allegramente, e l’armatura sua fece venire.
Or mentre che s’armava al re presente, tornaron quei signor di nuovo a dire
chi fosse il cavallier tanto eccellente, che di lancia sapea sì ben ferire;
e Ferraù, che parlato gli avea,
fu domandato se lo conoscea.

13
Rispose Ferraù: – Tenete certo
che non è alcun di quei ch’avete detto. A me parea, ch’il vidi a viso aperto,
il fratel di Rinaldo giovinetto:
ma poi ch’io n’ho l’alto valore esperto, e so che non può tanto Ricciardetto,
penso che sia la sua sorella, molto (per quel ch’io n’odo) a lui simil di volto.

14
Ella ha ben fama d’esser forte a pare del suo Rinaldo e d’ogni paladino;
ma, per quanto io ne veggo oggi, mi pare che val più del fratel, più del cugino. – Come Ruggier lei sente ricordare,
del vermiglio color che ‘l matutino sparge per l’aria, si dipinge in faccia, e nel cor triema, e non sa che si faccia.

15
A questo annunzio, stimulato e punto da l’amoroso stral, dentro infiammarse,
e per l’ossa sentì tutto in un punto correre un giaccio che ‘l timor vi sparse, timor ch’un nuovo sdegno abbia consunto
quel grande amor che già per lui sì l’arse. Di ciò confuso non si risolveva,
s’incontra uscirle, o pur restar doveva.

16
Or quivi ritrovandosi Marfisa,
che d’uscire alla giostra avea gran voglia, ed era armata, perché in altra guisa
è raro, o notte o dì, che tu la coglia; sentendo che Ruggier s’arma, s’avisa
che di quella vittoria ella si spoglia se lascia che Ruggiero esca fuor prima:
pensa ire inanzi, e averne il pregio stima.

17
Salta a cavallo, e vien spronando in fretta ove nel campo la figlia d’Amone
con palpitante cor Ruggiero aspetta, desiderosa farselo prigione,
e pensa solo ove la lancia metta,
perché del colpo abbia minor lesione. Marfisa se ne vien fuor de la porta,
e sopra l’elmo una fenice porta;

18
o sia per sua superbia, dinotando
se stessa unica al mondo in esser forte, o pur sua casta intenzion lodando
di viver sempremai senza consorte.
La figliuola d’Amon la mira; e quando le fattezze ch’amava non ha scorte,
come si nomi le domanda, ed ode
esser colei che del suo amor si gode;

19
o per dir meglio, esser colei che crede che goda del suo amor, colei che tanto
ha in odio e in ira, che morir si vede, se sopra lei non vendica il suo pianto.
Volta il cavallo, e con gran furia riede, non per desir di porla in terra, quanto
di passarle con l’asta in mezzo il petto, e libera restar d’ogni suspetto.

20
Forza è a Marfisa ch’a quel colpo vada a provar se ‘l terreno è duro o molle;
e cosa tanto insolita le accada,
ch’ella n’è per venir di sdegno folle. Fu in terra a pena, che trasse la spada, e vendicar di quel cader si volle.
La figliuola d’Amon non meno altiera gridò: – Che fai? tu sei mia prigioniera.

21
Se bene uso con gli altri cortesia, usar teco, Marfisa, non la voglio,
come a colei che d’ogni villania
odo che sei dotata e d’ogni orgoglio. – Marfisa a quel parlar fremer s’udia
come un vento marino in uno scoglio. Grida, ma sì per rabbia si confonde,
che non può esprimer fuor quel che risponde.

22
Mena la spada, e più ferir non mira lei, che ‘l destrier, nel petto e ne la pancia: ma Bradamante al suo la briglia gira,
e quel da parte subito si lancia;
e tutto a un tempo con isdegno ed ira la figliuola d’Amon spinge la lancia,
e con quella Marfisa tocca a pena,
che la fa riversar sopra l’arena.

23
A pena ella fu in terra, che rizzosse, cercando far con la spada mal’opra.
Di nuovo l’asta Bradamante mosse,
e Marfisa di nuovo andò sozzopra.
Ben che possente Bradamante fosse,
non però sì a Marfisa era di sopra, che l’avesse ogni colpo riversata;
ma tal virtù ne l’asta era incantata.

24
Alcuni cavallieri in questo mezzo,
alcuni, dico, de la parte nostra,
se n’erano venuti dove, in mezzo
l’un campo e l’altro, si facea la giostra (che non eran lontani un miglio e mezzo), veduta la virtù che ‘l suo dimostra;
il suo che non conoscono altrimente che per un cavallier de la lor gente.

25
Questi vedendo il generoso figlio
di Troiano alle mura approssimarsi, per ogni caso, per ogni periglio
non volse sproveduto ritrovarsi;
e fe’ che molti all’arme dier di piglio, e che fuor dei ripari appresentarsi.
Tra questi fu Ruggiero, a cui la fretta di Marfisa la giostra avea intercetta.

26
L’inamorato giovene mirando
stava il successo, e gli tremava il core, de la sua cara moglie dubitando;
che di Marfisa ben sapea il valore. Dubitò, dico, nel principio, quando
si mosse l’una e l’altra con furore; ma visto poi come successe il fatto,
restò maraviglioso e stupefatto:

27
e poi che fin la lite lor non ebbe, come avean l’altre avute, al primo incontro, nel cor profundamente gli ne ‘ncrebbe,
dubbioso pur di qualche strano incontro. De l’una egli e de l’altra il ben vorrebbe; ch’ama amendue: non che da porre incontro sien questi amori: è l’un fiamma e furore, l’altro benivolenza più ch’amore.

28
Partita volentier la pugna avria,
se con suo onor potuto avesse farlo. Ma quei ch’egli avea seco in compagnia,
perché non vinca la parte di Carlo, che già lor par che superior ne sia,
saltan nel campo, e vogliono turbarlo. Da l’altra parte i cavallier cristiani
si fanno inanzi, e son quivi alle mani.

29
Di qua di là gridar si sente all’arme, come usati eran far quasi ogni giorno.
Monti chi è a piè, chi non è armato s’arme, alla bandiera ognun faccia ritorno!
dicea con chiaro e bellicoso carme
più d’una tromba che scorrea d’intorno: e come quelle svegliano i cavalli,
svegliano i fanti i timpani e i taballi.

30
La scaramuccia fiera e sanguinosa,
quanto si possa imaginar, si mesce. La donna di Dordona valorosa,
a cui mirabilmente aggrava e incresce che quel di ch’era tanto disiosa,
di por Marfisa a morte, non riesce; di qua di là si volge e si raggira,
se Ruggier può veder, per cui sospira.

31
Lo riconosco all’aquila d’argento
c’ha nello scudo azzurro il giovinetto. Ella con gli occhi e col pensiero intento si ferma a contemplar le spalle e ‘l petto, le leggiadre fattezze, e ‘l movimento
pieno di grazia; e poi con gran dispetto, imaginando ch’altra ne gioisse,
da furore assalita così disse:

32
– Dunque baciar sì belle e dolce labbia deve altra, se baciar non le poss’io?
Ah non sia vero già ch’altra mai t’abbia; che d’altra esser non déi, se non sei mio. Più tosto che morir sola di rabbia,
che meco di mia man mori, disio;
che se ben qui ti perdo, almen l’inferno poi mi ti renda, e stii meco in eterno.

33
Se tu m’occidi, è ben ragion che deggi darmi de la vendetta anco conforto;
che voglion tutti gli ordini e le leggi, che chi dà morte altrui debba esser morto. Né par ch’anco il tuo danno il mio pareggi; che tu mori a ragione, io moro a torto.
Farò morir chi brama, ohimè! ch’io muora; ma tu, crudel, chi t’ama e chi t’adora.

34
Perché non déi tu, mano, essere ardita d’aprir col ferro al mio nimico il core? che tante volte a morte m’ha ferita
sotto la pace in sicurtà d’amore,
ed or può consentir tormi la vita,
né pur aver pietà del mio dolore.
Contra questo empio ardisci, animo forte: vendica mille mie con la sua morte. –

35
Gli sprona contra in questo dir, ma prima: – Guardati (grida), perfido Ruggiero:
tu non andrai, s’io posso, de la opima spoglia del cor d’una donzella altiero. – Come Ruggiero ode il parlare, estima
che sia la moglie sua, com’era in vero, la cui voce in memoria sì bene ebbe,
ch’in mille riconoscer la potrebbe.

36
Ben pensa quel che le parole denno
volere inferir più; ch’ella l’accusa che la convenzion ch’insieme fenno,
non le osservava: onde per farne iscusa, di volerle parlar le fece cenno:
ma quella già con la visiera chiusa venìa dal dolor spinta e da la rabbia,
per porlo, e forse ove non era sabbia.

37
Quando Ruggier la vede tanto accesa, si ristringe ne l’arme e ne la sella:
la lancia arresta; ma la tien sospesa, piegata in parte ove non nuoccia a quella. La donna, ch’a ferirlo e a fargli offesa venìa con mente di pietà rubella,
non poté sofferir, come fu appresso, di porlo in terra e fargli oltraggio espresso.

38
Così lor lance van d’effetto vote
a quello incontro; e basta ben s’Amore con l’un giostra e con l’altro, e gli percuote d’una amorosa lancia in mezzo il core.
Poi che la donna sofferir non puote di far onta a Ruggier, volge il furore
che l’arde il petto, altrove; e vi fa cose che saran, fin che giri il ciel, famose.

39
In poco spazio ne gittò per terra
trecento e più con quella lancia d’oro. Ella sola quel dì vinse la guerra,
messe ella sola in fuga il popul Moro. Ruggier di qua di là s’aggira ed erra
tanto, che se le accosta e dice: – Io moro, s’io non ti parlo: ohimè! che t’ho fatto io, che mi debbi fuggire? Odi, per Dio! –

40
Come ai meridional tiepidi venti,
che spirano dal mare il fiato caldo, le nievi si disciolveno e i torrenti,
e il ghiaccio che pur dianzi era sì saldo; così a quei prieghi, a quei brevi lamenti il cor de la sorella di Rinaldo
subito ritornò pietoso e molle,
che l’ira, più che marmo, indurar volle.

41
Non vuol dargli, o non puote, altra risposta; ma da traverso sprona Rabicano,
e quanto può dagli altri si discosta, ed a Ruggiero accenna con la mano.
Fuor de la moltitudine in reposta
valle si trasse, ov’era un piccol piano ch’in mezzo avea un boschetto di cipressi che parean d’una stampa, tutti impressi.

42
In quel boschetto era di bianchi marmi fatta di nuovo un’alta sepoltura.
Chi dentro giaccia, era con brevi carmi notato a chi saperlo avesse cura.
Ma quivi giunta Bradamante, parmi
che gia non pose mente alla scrittura. Ruggier dietro il cavallo affretta e punge tanto, ch’al bosco e alla donzella giunge.

43
Ma ritorniamo a Marfisa che s’era
in questo mezzo in sul destrier rimessa, e venìa per trovar quella guerriera
che l’avea al primo scontro in terra messa: e la vide partir fuor de la schiera,
e partir Ruggier vide e seguir essa; né si pensò che per amor seguisse,
ma per finir con l’arme ingiurie e risse.

44
Urta il cavallo, e vien dietro alla pesta tanto, ch’a un tempo con lor quasi arriva. Quanto sua giunta ad ambi sia molesta,
chi vive amando, il sa, senza ch’io ‘l scriva. Ma Bradamante offesa più ne resta,
che colei vede, onde il suo mal deriva. Chi le può tor che non creda esser vero
che l’amor ve la sproni di Ruggiero?

45
E perfido Ruggier di nuovo chiama.
– Non ti bastava, perfido (disse ella), che tua perfidia sapessi per fama,
se non mi facevi anco veder quella? Di cacciarmi da te veggo c’hai brama:
e per sbramar tua voglia iniqua e fella, io vo’ morir; ma sforzerommi ancora
che muora meco chi è cagion ch’io mora. –

46
Sdegnosa più che vipera, si spicca, così dicendo, e va contra Marfisa;
ed allo scudo l’asta sì le appicca, che la fa a dietro riversare in guisa,
che quasi mezzo l’elmo in terra ficca; né si può dir che sia colta improvisa:
anzi fa incontra ciò che far si puote; e pure in terra del capo percuote.

47
La figliuola d’Amon, che vuol morire o dar morte a Marfisa, è in tanta rabbia, che non ha mente di nuovo a ferire
con l’asta, onde a gittar di nuovo l’abbia; ma le pensa dal busto dipartire
il capo mezzo fitto ne la sabbia:
getta da sé la lancia d’oro, e prende la spada, e del destrier subito scende.

48
Ma tarda è la sua giunta; che si trova Marfisa incontra, e di tanta ira piena
(poi che s’ha vista alla seconda prova cader sì facilmente su l’arena),
che pregar nulla, e nulla gridar giova a Ruggier che di questo avea gran pena:
sì l’odio e l’ira le guerriere abbaglia, che fan da disperate la battaglia.

49
A mezzo spada vengono di botto;
e per la gran superbia che l’ha accese, van pur inanzi, e si son già sì sotto,
ch’altro non puon che venire alle prese. Le spade, il cui bisogno era interrotto, lascian cadere, e cercan nuove offese.
Priega Ruggiero e supplica amendue, ma poco frutto han le parole sue.

50
Quando pur vede che ‘l pregar non vale, di partirle per forza si dispone:
leva di mano ad amendua il pugnale, ed al piè d’un cipresso li ripone.
Poi che ferro non han più da far male, con prieghi e con minaccie s’interpone:
ma tutto è invan; che la battaglia fanno a pugni e a calci, poi ch’altro non hanno.

51
Ruggier non cessa: or l’una or l’altra prende per le man, per le braccia, e la ritira; e tanto fa, che di Marfisa accende
contra di sé, quanto si può più, l’ira. Quella che tutto il mondo vilipende,
alla amicizia di Ruggier non mira.
Poi che da Bradamante si distacca,
corre alla spada, e con Ruggier s’attacca.

52
– Tu fai da discortese e da villano, Ruggiero, a disturbar la pugna altrui;
ma ti farò pentir con questa mano
che vo’ che basti a vincervi ambedui. Cerca Ruggier con parlar molto umano
Marfisa mitigar; ma contra lui
la trova in modo disdegnosa e fiera, ch’un perder tempo ogni parlar seco era.

53
All’ultimo Ruggier la spada trasse, poi che l’ira anco lui fe’ rubicondo.
Non credo che spettacolo mirasse
Atene o Roma o luogo altro del mondo, che così a’ riguardanti dilettasse,
come dilettò questo e fu giocondo
alla gelosa Bradamante, quando
questo le pose ogni sospetto in bando.

54
La sua spada avea tolta ella di terra, e tratta s’era a riguardar da parte;
e le parea veder che ‘l dio di guerra fosse Ruggiero alla possanza e all’arte. Una furia infernal quando si sferra
sembra Marfisa, se quel sembra Marte. Vero è ch’un pezzo il giovene gagliardo
di non far il potere ebbe riguardo.

55
Sapea ben la virtù de la sua spada; che tante esperienze n’ha già fatto.
Ove giunge, convien che se ne vada
l’incanto, o nulla giovi, e stia di piatto: sì che ritien che ‘l colpo suo non cada
di taglio o punta, ma sempre di piatto. Ebbe a questo Ruggier lunga avvertenza:
ma perdé pure un tratto la pazienza;

56
perché Marfisa una percossa orrenda gli mena per dividergli la testa.
Leva lo scudo che ‘l capo difenda
Ruggiero, e ‘l colpo in su l’aquila pesta. Vieta lo ‘ncanto che lo spezzi o fenda;
ma di stordir non però il braccio resta: e s’avea altr’arme che quelle d’Ettorre, gli potea il fiero colpo il braccio torre:

57
e saria sceso indi alla testa, dove disegnò di ferir l’aspra donzella.
Ruggiero il braccio manco a pena muove, a pena più sostien l’aquila bella.
Per questo ogni pietà da sé rimuove; par che negli occhi avampi una facella:
e quanto può cacciar, caccia una punta. Marfisa, mal per te, se n’eri giunta!

58
Io non vi so ben dir come si fosse: la spada andò a ferire in un cipresso,
e un palmo e più ne l’arbore cacciosse: in modo era piantato il luogo spesso.
In quel momento il monte e il piano scosse un gran tremuoto; e si sentì con esso
da quell’avel ch’in mezzo il bosco siede, gran voce uscir, ch’ogni mortale eccede.

59
Grida la voce orribile: – Non sia
lite tra voi: gli è ingiusto ed inumano ch’alla sorella il fratel morte dia,
o la sorella uccida il suo germano. Tu, mio Ruggiero, e tu, Marfisa mia,
credete al mio parlar che non è vano: in un medesimo utero d’un seme
foste concetti, e usciste al mondo insieme.

60
Concetti foste da Ruggier secondo:
vi fu Galaciella genitrice,
i cui fratelli avendole dal mondo
cacciato il genitor vostro infelice, senza guardar ch’avesse in corpo il pondo di voi, ch’usciste pur di lor radice,
la fer, perché s’avesse ad affogare, s’un debol legno porre in mezzo al mare.

61
Ma Fortuna che voi, ben che non nati, avea già eletti a gloriose imprese,
fece che ‘l legno ai liti inabitati sopra le Sirti a salvamento scese;
ove, poi che nel mondo v’ebbe dati, l’anima eletta al paradiso ascese.
Come Dio volse e fu vostro destino, a questo caso io mi trovai vicino.

62
Diedi alla madre sepoltura onesta,
qual potea darsi in sì deserta arena; e voi teneri avolti ne la vesta
meco portai sul monte di Carena;
e mansueta uscir de la foresta
fecie lasciare i figli una leena,
de le cui poppe dieci mesi e dieci
ambi nutrir con molto studio feci.

63
Un giorno che d’andar per la contrada e da la stanza allontanar m’occorse,
vi sopravenne a caso una masnada
d’Arabi (e ricordarvene de’ forse), che te, Marfisa, tolser ne la strada,
ma non poter Ruggier, che meglio corse. Restai de la tua perdita dolente,
e di Ruggier guardian più diligente.

64
Ruggier, se ti guardò, mentre che visse, il tuo maestro Atlante, tu lo sai.
Di te senti’ predir le stelle fisse, che tra’ cristiani a tradigion morrai;
e perché il male influsso non seguisse, tenertene lontan m’affaticai:
né ostare al fin potendo alla tua voglia, infermo caddi, e mi mori’ di doglia.

65
Ma inanzi a morte, qui dove previdi che con Marfisa aver pugna dovevi,
feci raccor con infernal sussidi
a formar questa tomba i sassi grevi; ed a Caron dissi con alti gridi:
– Dopo morte non vo’ lo spirto levi di questo bosco, fin che non ci giugna
Ruggier con la sorella per far pugna. –

66
Così lo spirto mio per le belle ombre ha molti dì aspettato il venir vostro:
sì che mai gelosia più non t’ingombre, o Bradamante, ch’ami Ruggier nostro.
Ma tempo è ormai che de la luce io sgombre, e mi conduca al tenebroso chiostro. –
Qui si tacque; e a Marfisa ed alla figlia d’Amon lasciò e a Ruggier gran maraviglia.

67
Riconosce Marfisa per sorella
Ruggier con molto gaudio, ed ella lui; e ad abbracciarsi, senza offender quella che per Ruggiero ardea, vanno ambidui:
e rammentando de l’età novella
alcune cose: i’ feci, io dissi, io fui; vengon trovando con più certo effetto,
tutto esser ver quel c’ha lo spirto detto.

68
Ruggiero alla sorella non ascose
quanto avea nel cor fissa Bradamante; e narrò con parole affettuose
de le obligazion che le avea tante: e non cessò, ch’in grand’amor compose
le discordie ch’insieme ebbono avante; e fe’, per segno di pacificarsi,
ch’umanamente andaro ad abbracciarsi.

69
A domandar poi ritornò Marfisa
chi stato fosse, e di che gente il padre; e chi l’avesse morto, ed a che guisa,
s’in campo chiuso o fra l’armate squadre; e chi commesso avea che fosse uccisa
dal mar atroce la misera madre:
che se già l’avea udito da fanciulla, or ne tenea poca memoria o nulla.

70
Ruggiero incominciò, che da’ Troiani per la linea d’Ettorre erano scesi;
che poi che Astianatte de le mani
campò d’Ulisse e da li aguati tesi, avendo un de’ fanciulli coetani
per lui lasciato, uscì di quei paesi; e dopo un lungo errar per la marina,
venne in Sicilia e dominò Messina.

71
– I descendenti suoi di qua dal Faro signoreggiar de la Calabria parte;
e dopo più successioni andaro
ad abitar ne la città di Marte.
Più d’uno imperatore e re preclaro
fu di quel sangue in Roma e in altra parte, cominciando a Costante e a Costantino,
sino a re Carlo figlio de Pipino.

72
Fu Ruggier primo e Gianbaron di questi, Buovo, Rambaldo, al fin Ruggier secondo, che fe’, come d’Atlante udir potesti,
di nostra madre l’utero fecondo.
De la progenie nostra i chiari gesti per l’istorie vedrai celebri al mondo. – Seguì poi, come venne il re Agolante
con Almonte e col padre d’Agramante;

73
e come menò seco una donzella
ch’era sua figlia, tanto valorosa,
che molti paladin gittò di sella;
e di Ruggiero al fin venne amorosa, e per suo amor del padre fu ribella,
e battezzossi, e diventògli sposa.
Narrò come Beltramo traditore
per la cognata arse d’incesto amore;

74
e che la patria e ‘l padre e duo fratelli tradì, così sperando acquistar lei;
aperse Risa agli nimici, e quelli
fer di lor tutti i portamenti rei;
come Agolante e i figli iniqui e felli poser Galaciella, che di sei
mesi era grave, in mar senza governo, quando fu tempestoso al maggior verno.

75
Stava Marfisa con serena fronte
fisa al parlar che ‘l suo german facea: ed esser scesa da la bella fonte
ch’avea sì chiari rivi, si godea.
Quindi Mongrana e quindi Chiaramonte le due progenie derivar sapea,
ch’al mondo fu molti e molt’anni e lustri splendide, e senza par d’uomini illustri.

76
Poi che ‘l fratello al fin le venne a dire che ‘l padre d’Agramante e l’avo e ‘l zio Ruggiero a tradigion feron morire,
e posero la moglie a caso rio;
non lo poté più la sorella udire,
che lo ‘nterroppe, e disse: – Fratel mio (salva tua grazia), avuto hai troppo torto a non ti vendicar del padre morto.

77
Se in Almonte e in Troian non ti potevi insanguinar, ch’erano morti inante,
dei figli vendicar tu ti dovevi.
Perché, vivendo tu, vive Agramante? Questa è una macchia che mai non ti levi dal viso; poi che dopo offese tante
non pur posto non hai questo re a morte, ma vivi al soldo suo ne la sua corte.

78
Io fo ben voto a Dio (ch’adorar voglio Cristo Dio vero, ch’adorò mio padre)
che di questa armatura non mi spoglio, fin che Ruggier non vendico e mia madre. E vo’ dolermi, e fin ora mi doglio,
di te, se più ti veggo fra le squadre del re Agramante o d’altro signor Moro,
se non col ferro in man per danno loro. –

79
Oh come a quel parlar leva la faccia la bella Bradamante, e ne gioisce!
E conforta Ruggier che così faccia
come Marfisa sua ben l’ammonisce;
e venga a Carlo, e conoscer si faccia, che tanto onora, lauda e riverisce
del suo padre Ruggier la chiara fama, ch’ancor guerrier senza alcun par lo chiama.

80
Ruggiero accortamente le rispose
che da principio questo far dovea;
ma per non bene aver note le cose,
come ebbe poi, tardato troppo avea. Ora, essendo Agramante che gli pose
la spada al fianco, farebbe opra rea dandogli morte, e saria traditore;
che già tolto l’avea per suo signore.

81
Ben, come a Bradamante già promesse, promettea a lei di tentare ogni via,
tanto ch’occasione, onde potesse
levarsi con suo onor, nascer faria. E se già fatto non l’avea, non desse
la colpa a lui, m’al re di Tartaria, dal qual ne la battaglia che seco ebbe,
lasciato fu, come saper si debbe.

82
Ed ella ch’ogni dì gli venìa al letto, buon testimon, quanto alcun altro, n’era. Fu sopra questo assai risposto e detto
da l’una e da l’altra inclita guerriera. L’ultima conclusion, l’ultimo effetto
è che Ruggier ritorni alla bandiera del suo signor, fin che cagion gli accada, che giustamente a Carlo se ne vada.

83
– Lascialo pur andar (dicea Marfisa a Bradamante), e non aver timore:
fra pochi giorni io farò bene in guisa che non gli fia Agramante più signore. – Così dice ella, né però devisa
quanto di voler fare abbia nel core. Tolta da lor licenza, al fin Ruggiero
per tornare al suo re volgea il destriero;

84
quando un pianto s’udì da le vicine valli sonar, che li fe’ tutti attenti.
A quella voce fan l’orecchie chine, che di femina par che si lamenti.
Ma voglio questo canto abbia qui fine, e di quel che voglio io, siate contenti; che miglior cose vi prometto dire,
s’all’altro canto mi verrete a udire.

CANTO TRENTASETTESIMO

1
Se, come in acquistar qualch’altro dono che senza industria non può dar Natura,
affaticate notte e dì si sono
con somma diligenza e lunga cura
le valorose donne, e se con buono
successo n’è uscit’opra non oscura; così si fosson poste a quelli studi
ch’immortal fanno le mortal virtudi;

2
e che per sé medesime potuto
avesson dar memoria alle sue lode,
non mendicar dagli scrittori aiuto, ai quali astio ed invidia il cor sì rode, che ‘l ben che ne puon dir, spesso è taciuto, e ‘l mal, quanto ne san, per tutto s’ode; tanto il lor nome sorgeria, che forse
viril fama a tal grado unqua non sorse.

3
Non basta a molti di prestarsi l’opra in far l’un l’altro glorioso al mondo,
ch’anco studian di far che si discuopra ciò che le donne hanno fra lor d’immondo. Non le vorrian lasciar venir di sopra,
e quanto puon, fan per cacciarle al fondo: dico gli antiqui; quasi l’onor debbia
d’esse il lor oscurar, come il sol nebbia.

4
Ma non ebbe e non ha mano né lingua, formando in voce o discrivendo in carte
(quantunque il mal, quanto può, accresce e impingua, e minuendo il ben va con ogni arte),
poter però, che de le donne estingua la gloria sì, che non ne resti parte;
ma non già tal, che presso al segno giunga, né ch’anco se gli accosti di gran lunga:

5
ch’Arpalice non fu, non fu Tomiri,
non fu chi Turno, non chi Ettor soccorse; non chi seguita da Sidoni e Tiri
andò per lungo mare in Libia a porse; non Zenobia, non quella che gli Assiri,
i Persi e gl’Indi con vittoria scorse: non fur queste e poch’altre degne sole,
di cui per arme eterna fama vole.

6
E di fedeli e caste e sagge e forti stato ne son, non pur in Grecia e in Roma, ma in ogni parte ove fra gl’Indi e gli Orti de le Esperide il Sol spiega la chioma:
de le quai sono i pregi agli onor morti, sì ch’a pena di mille una si noma;
e questo, perché avuto hanno ai lor tempi gli scrittori bugiardi, invidi ed empi.

7
Non restate però, donne, a cui giova il bene oprar, di seguir vostra via;
né da vostra alta impresa vi rimuova tema che degno onor non vi si dia:
che, come cosa buona non si trova
che duri sempre, così ancor né ria. Se le carte sin qui state e gl’inchiostri per voi non sono, or sono a’ tempi nostri.

8
Dianzi Marullo ed il Pontan per vui sono, e duo Strozzi, il padre e ‘l figlio, stati: c’è il Bembo, c’è il Capel, c’è chi, qual lui vediamo, ha tali i cortigian formati:
c’è un Luigi Alaman: ce ne son dui, di par da Marte e da le Muse amati,
ambi del sangue che regge la terra
che ‘l Menzo fende e d’alti stagni serra.

9
Di questi l’uno, oltre che ‘l proprio istinto ad onorarvi e a riverirvi inchina,
e far Parnasso risonare e Cinto
di vostra laude, e porla al ciel vicina; l’amor, la fede, il saldo e non mai vinto per minacciar di strazi e di ruina,
animo ch’Issabella gli ha dimostro, lo fa, assai più che di se stesso, vostro:

10
sì che non è per mai trovarsi stanco di farvi onor nei suoi vivaci carmi:
e s’altri vi dà biasmo, non è ch’anco sia più pronto di lui per pigliar l’armi: e non ha il mondo cavallier che manco
la vita sua per la virtù rispiarmi. Dà insieme egli materia ond’altri scriva, e fa la gloria altrui, scrivendo, viva.

11
Ed è ben degno che sì ricca donna,
ricca di tutto quel valor che possa esser fra quante al mondo portin gonna,
mai non si sia di sua costanza mossa; e sia stata per lui vera colonna,
sprezzando di Fortuna ogni percossa: di lei degno egli, e degna ella di lui;
né meglio s’accoppiaro unque altri dui.

12
Nuovi trofei pon su la riva d’Oglio; ch’in mezzo a ferri, a fuochi, a navi, a ruote ha sparso alcun tanto ben scritto foglio, che ‘l vicin fiume invidia aver gli puote. Appresso a questo un Ercol Bentivoglio
fa chiaro il vostro onor con chiare note, e Renato Trivulcio, e ‘l mio Guidetto,
e ‘l Molza, a dir di voi da Febo eletto.

13
C’è ‘l duca de’ Carnuti Ercol, figliuolo del duca mio, che spiega l’ali come
canoro cigno, e va cantando a volo, e fin al cielo udir fa il vostro nome.
C’è il mio signor del Vasto, a cui non solo di dare a mille Atene e a mille Rome
di sé materia basta, ch’anco accenna volervi eterne far con la sua penna.

14
Ed oltre a questi ed altri ch’oggi avete, che v’hanno dato gloria e ve la danno,
voi per voi stesse dar ve la potete; poi che molte, lasciando l’ago e ‘l panno, son con le Muse a spegnersi la sete
al fonte d’Aganippe andate, e vanno; e ne ritornan tai, che l’opra vostra
è più bisogno a noi, ch’a voi la nostra.

15
Se chi sian queste, e di ciascuna voglio render buon conto, e degno pregio darle, bisognerà ch’io verghi più d’un foglio,
e ch’oggi il canto mio d’altro non parle: e s’a lodarne cinque o sei ne toglio,
io potrei l’altre offendere e sdegnarle. Che farò dunque? Ho da tacer d’ognuna,
o pur fra tante sceglierne sol una?

16
Sceglieronne una; e sceglierolla tale, che superato avrà l’invidia in modo,
che nessun’altra potrà avere a male, se l’altre taccio, e se lei sola lodo.
Quest’una ha non pur sé fatta immortale col dolce stil di che il meglior non odo; ma può qualunque di cui parli o scriva,
trar del sepolcro, e far ch’eterno viva.

17
Come Febo la candida sorella
fa più di luce adorna, e più la mira, che Venere o che Maia o ch’altra stella
che va col cielo o che da sé si gira: così facundia, più ch’all’altre, a quella di ch’io vi parlo, e più dolcezza spira; e dà tal forza all’alte sue parole,
ch’orna a’ dì nostri il ciel d’un altro sole.

18
Vittoria è ‘l nome; e ben conviensi a nata fra le vittorie, ed a chi, o vada o stanzi, di trofei sempre e di trionfi ornata,
la vittoria abbia seco, o dietro o inanzi. Questa è un’altra Artemisia, che lodata
fu di pietà verso il suo Mausolo; anzi tanto maggior, quanto è più assai bell’opra, che por sotterra un uom, trarlo di sopra.

19
Se Laodamìa se la moglier di Bruto, s’Arria, s’Argia, s’Evadne, e s’altre molte meritar laude per aver voluto,
morti i mariti, esser con lor sepolte; quanto onore a Vittoria è più dovuto,
che di Lete e del rio che nove volte l’ombre circonda, ha tratto il suo consorte, mal grado de le Parche e de la Morte!

20
S’al fiero Achille invidia de la chiara meonia tromba il Macedonico ebbe,
quanto, invitto Francesco di Pescara, maggior a te, se vivesse or, l’avrebbe!
che sì casta mogliere e a te sì cara canti l’eterno onor che ti si debbe,
e che per lei sì ‘l nome tuo rimbombe, che da bramar non hai più chiare trombe.

21
Se quanto dir se ne potrebbe, o quanto io n’ho desir, volessi porre in carte,
ne direi lungamente; ma non tanto,
ch’a dir non ne restasse anco gran parte: e di Marfisa e dei compagni intanto
la bella istoria rimarria da parte, la quale io vi promisi di seguire,
s’in questo canto mi verreste a udire.

22
Ora essendo voi qui per ascoltarmi, ed io per non mancar de la promessa,
serberò a maggior ozio di provarmi
ch’ogni laude di lei sia da me espressa; non perch’io creda bisognar miei carmi
a chi se ne fa copia da se stessa;
ma sol per satisfare a questo mio.
c’ho d’onorarla e di lodar, disio.

23
Donne, io conchiudo in somma, ch’ogni etate molte ha di voi degne d’istoria avute;
ma per invidia di scrittori state
non sete dopo morte conosciute:
il che più non sarà, poi che voi fate per voi stesse immortal vostra virtute.
Se far le due cognate sapean questo, si sapria meglio ogni lor degno gesto.

24
Di Bradamante e di Marfisa dico,
le cui vittoriose inclite prove
di ritornare in luce m’affatico;
ma de le diece mancanmi le nove.
Queste ch’io so, ben volentieri esplìco; sì perché ogni bell’opra si de’, dove
occulta sia, scoprir, sì perché bramo a voi, donne, aggradir, ch’onoro ed amo.

25
Stava Ruggier, com’io vi dissi, in atto di partirsi, ed avea commiato preso,
e dall’arbore il brando già ritratto, che, come dianzi, non gli fu conteso;
quando un gran pianto, che non lungo tratto era lontan, lo fe’ restar sospeso;
e con le donne a quella via si mosse, per aiutar, dove bisogno fosse.

26
Spingonsi inanzi, e via più chiaro il suon ne viene, e via più son le parole intese.
Giunti ne la vallea, trovan tre donne che fan quel duolo, assai strane in arnese; che fin all’ombilico ha lor le gonne
scorciate non so chi poco cortese:
e per non saper meglio elle celarsi, sedeano in terra, e non ardian levarsi.

27
Come quel figlio di Vulcan, che venne fuor de la polve senza madre in vita,
e Pallade nutrir fe’ con solenne
cura d’Aglauro, al veder troppo ardita, sedendo, ascosi i brutti piedi tenne
su la quadriga da lui prima ordita; così quelle tre giovani le cose
secrete lor tenean, sedendo, ascose.

28
Lo spettacolo enorme e disonesto
l’una e l’altra magnanima guerriera fe’ del color che nei giardin di Pesto
esser la rosa suol da primavera.
Riguardò Bradamante, e manifesto
tosto le fu ch’Ullania una d’esse era, Ullania che da l’Isola Perduta
in Francia messaggera era venuta:

29
e riconobbe non men l’altre due;
che dove vide lei, vide esse ancora. Ma se n’andaron le parole sue
a quella de le tre ch’ella più onora; e le domanda chi sì iniquo fue,
e sì di legge e di costumi fuora,
che quei segreti agli occhi altrui riveli, che, quanto può, par che Natura celi.

30
Ullania che conosce Bradamante,
non meno ch’alle insegne, alla favella, esser colei che pochi giorni inante
avea gittati i tre guerrier di sella, narra che ad un castel poco distante
una ria gente e di pietà ribella,
oltre all’ingiuria di scorciarle i panni, l’avea battuta e fattol’altri danni.

31
Né le sa dir che de lo scudo sia,
né dei tre re che per tanti paesi
fatto le avean sì lunga compagnia:
non sa se morti, o sian restati presi; e dice c’ha pigliata questa via,
ancor ch’andare a piè molto le pesi, per richiamarsi de l’oltraggio a Carlo,
sperando che non sia per tolerarlo.

32
Alle guerriere ed a Ruggier, che meno non han pietosi i cor, ch’audaci e forti, de’ bei visi turbò l’aer sereno
l’udire, e più il veder sì gravi torti: et obliando ogn’altro affar che avieno,
e senza che li prieghi o che gli esorti la donna afflitta a far la sua vendetta, piglian la via verso quel luogo in fretta.

33
Di commune parer le sopraveste,
mosse da gran bontà, s’aveano tratte, cha’ ricoprir le parti meno oneste
di quelle sventurate assai furo atte. Bradamante non vuol ch’Ullania peste
le strade a piè, ch’avea a piede anco fatte, e se la leva in groppa del destriero;
l’altra Marfisa, l’altra il buon Ruggiero.

34
Ullania a Bradamante che la porta,
mostra la via che va al castel più dritta: Bradamante all’incontro lei conforta,
che la vendicherà di chi l’ha afflitta. Lascian la valle, e per via lunga e torta sagliono un colle or a man manca or ritta; e prima il sol fu dentro il mare ascoso, che volesser tra via prender riposo.

35
Trovaro una villetta che la schena
d’un erto colle, aspro a salir, tenea; ove ebbon buono albergo e buona cena,
quale avere in quel loco si potea.
Si mirano d’intorno, e quivi piena
ogni parte di donne si vedea,
quai giovani, quai vecchie; e in tanto stuolo faccia non v’apparia d’un uomo solo.

36
Non più a Iason di maraviglia denno, né agli Argonauti che venian con lui,
le donne che i mariti morir fenno
e i figli e i padri coi fratelli sui, sì che per tutta l’isola di Lenno
di viril faccia non si vider dui;
che Ruggier quivi, e chi con Ruggier era maraviglia ebbe all’alloggiar la sera.

37
Fero ad Ullania ed alle damigelle
che venivan con lei, le due guerriere la sera proveder di tre gonnelle,
se non così polite, almeno intere.
A sé chiama Ruggiero una di quelle
donne ch’abitan quivi, e vuol sapere ove gli uomini sian, ch’un non ne vede;
ed ella a lui questa risposta diede:

38
– Questa che forse è maraviglia a voi, che tante donne senza uomini siamo,
è grave e intolerabil pena a noi,
che qui bandite misere viviamo.
E perché il duro esilio più ci annoi, padri, figli e mariti, che sì amiamo,
aspro e lungo divorzio da noi fanno, come piace al crudel nostro tiranno.

39
Da le sue terre, le quai son vicine a noi due leghe, e dove noi siàn nate,
qui ci ha mandato il barbaro in confine, prima di mille scorni ingiuriate;
ed ha gli uomini nostri e noi meschine di morte e d’ogni strazio minacciate,
se quelli a noi verranno, o gli fia detto che noi diàn lor, venendoci, ricetto.

40
Nimico è sì costui del nostro nome, che non ci vuol, più ch’io vi dico, appresso, né ch’a noi venga alcun de’ nostri, come l’odor l’ammorbi del femineo sesso.
Già due volte l’onor de le lor chiome s’hanno spogliato gli alberi e rimesso,
da indi in qua che ‘l rio signor vaneggia in furor tanto: e non è chi ‘l correggia;

41
che ‘l populo ha di lui quella paura che maggior aver può l’uom de la morte;
ch’aggiunto al mal voler gli ha la natura una possanza fuor d’umana sorte.
Il corpo suo di gigantea statura
è più, che di cent’altri insieme, forte. Né pure a noi sue suddite è molesto,
ma fa alle strane ancor peggio di questo.

42
Se l’onor vostro, e queste tre vi sono punto care, ch’avete in compagnia,
più vi sarà sicuro, utile e buono
non gir più inanzi, e trovar altra via. Questa al castel de l’uom di ch’io ragiono, a provar mena la costuma ria
che v’ha posta il crudel con scorno e danno di donne e di guerrier che di là vanno.

43
Marganor il fellon (così si chiama
il signore, il tiran di quel castello), del qual Nerone, o s’altri è ch’abbia fama di crudeltà, non fu più iniquo e fello,
il sangue uman, ma ‘l feminil più brama, che ‘l lupo non lo brama de l’agnello.
Fa con onta scacciar le donne tutte da lor ria sorte a quel castel condutte. –

44
Perché quell’empio in tal furor venisse, volson le donne intendere e Ruggiero:
pregar colei, ch’in cortesia seguisse, anzi che cominciasse il conto intero.
– Fu il signor del castel (la donna disse) sempre crudel, sempre inumano e fiero;
ma tenne un tempo il cor maligno ascosto, né si lasciò conoscer così tosto:

45
che mentre duo suoi figli erano vivi, molto diversi dai paterni stili,
ch’amavan forestieri, ed eran schivi di crudeltade e degli altri atti vili;
quivi le cortesie fiorivan, quivi
i bei costumi e l’opere gentili:
che ‘l padre mai, quantunque avaro fosse, da quel che lor piacea non li rimosse.

46
Le donne e i cavallier che questa via facean talor, venian sì ben raccolti,
che si partian de l’alta cortesia
dei duo germani inamorati molti.
Amendui questi di cavalleria
parimente i santi ordini avean tolti: Cilandro l’un, l’altro Tanacro detto,
gagliardi, arditi e di reale aspetto.

47
Ed eran veramente, e sarian stati
sempre di laude degni e d’ogni onore, s’in preda non si fossino sì dati
a quel desir che nominiamo amore;
per cui dal buon sentier fur traviati al labirinto ed al camin d’errore;
e ciò che mai di buono aveano fatto, restò contaminato e brutto a un tratto.

48
Capitò quivi un cavallier di corte
del greco imperator, che seco avea
una sua donna di maniere accorte,
bella quanto bramar più si potea.
Cilandro in lei s’inamorò sì forte, che morir, non l’avendo, gli parea:
gli parea che dovesse, alla partita di lei, partire insieme la sua vita.

49
E perché i prieghi non v’avriano loco, di volerla per forza si dispose.
Armossi, e dal castel lontano un poco, ove passar dovean, cheto s’ascose.
L’usata audacia e l’amoroso fuoco
non gli lasciò pensar troppo le cose: sì che vedendo il cavallier venire,
l’andò lancia per lancia ad assalire.

50
Al primo incontro credea porlo in terra, portar la donna e la vittoria indietro:
ma ‘l cavallier, che mastro era di guerra, l’osbergo gli spezzò come di vetro.
Venne la nuova al padre ne la terra, che lo fe’ riportar sopra un ferètro;
e ritrovandol morto, con gran pianto gli diè sepulcro agli antiqui avi a canto.

51
Né più però né manco si contese
l’albergo e l’accoglienza a questo e a quello, perché non men Tanacro era cortese,
né meno era gentil di suo fratello. L’anno medesmo di lontan paese
con la moglie un baron venne al castello, a maraviglia egli gagliardo, ed ella,
quanto si possa dir, leggiadra e bella;

52
né men che bella, onesta e valorosa, e degna veramente d’ogni loda:
il cavallier, di stirpe generosa,
di tanto ardir, quanto più d’altri s’oda. E ben conviensi a tal valor, che cosa
di tanto prezzo e sì eccellente goda. Olindro il cavallier da Lungavilla,
la donna nominata era Drusilla.

53
Non men di questa il giovene Tanacro arse, che ‘l suo fratel di quella ardesse, che gli fe’ gustar fine acerbo ed acro
del desiderio ingiusto ch’in lei messe. Non men di lui di violar del sacro
e santo ospizio ogni ragione ellesse, più tosto che patir che ‘l duro e forte
nuovo desir lo conducesse a morte.

54
Ma perch’avea dinanzi agli occhi il tema del suo fratel che n’era stato morto,
pensa di torla in guisa, che non tema ch’Olindro s’abbia a vendicar del torto. Tosto s’estingue in lui, non pur si scema quella virtù su che solea star sorto;
ché non lo sommergean dei vizi l’acque, de le quai sempre al fondo il padre giacque.

55
Con gran silenzio fece quella notte seco raccor da vent’uomini armati;
e lontan dal castel, fra certe grotte che si trovan tra via, messe gli aguati. Quivi ad Olindro il dì le strade rotte,
e chiusi i passi fur da tutti i lati; e ben che fe’ lunga difesa e molta,
pur la moglie e la vita gli fu tolta.

56
Ucciso Olindro, ne menò captiva
la bella donna, addolorata in guisa, ch’a patto alcun restar non volea viva,
e di grazia chiedea d’essere uccisa. Per morir si gittò giù d’una riva
che vi trovò sopra un vallone assisa; e non poté morir, ma con la testa
rotta rimase, e tutta fiacca e pesta.

57
Altrimente Tanacro riportarla
a casa non poté che s’una bara.
Fece con diligenza medicarla;
che perder non volea preda sì cara. E mentre che s’indugia a risanarla,
di celebrar le nozze si prepara:
ch’aver sì bella donna e sì pudica
debbe nome di moglie, e non d’amica.

58
Non pensa altro Tanacro, altro non brama, d’altro non cura, e d’altro mai non parla. Si vede averla offesa, e se ne chiama
in colpa, e ciò che può, fa d’emendarla. Ma tutto è invano: quanto egli più l’ama, quanto più s’affatica di placarla,
tant’ella odia più lui, tanto è più forte, tanto è più ferma in voler porlo a morte.

59
Ma non però quest’odio così ammorza la conoscenza in lei, che non comprenda
che, se vuol far quanto disegna, è forza che simuli, ed occulte insidie tenda;
e che ‘l desir sotto contraria scorza (il quale è sol come Tanacro offenda)
veder gli faccia; e che si mostri tolta dal primo amore, e tutto a lui rivolta.

60
Simula il viso pace; ma vendetta
chiama il cor dentro, e ad altro non attende. Molte cose rivolge, alcune accetta,
altre ne lascia, ed altre in dubbio appende. Le par che quando essa a morir si metta, avrà il suo intento; e quivi al fin s’apprende. E dove meglio può morire, o quando,
che ‘l suo caro marito vendicando?

61
Ella si mostra tutta lieta, e finge di queste nozze aver sommo disio;
e ciò che può indugiarle, a dietro spinge, non ch’ella mostri averne il cor restio. Più de l’altre s’adorna e si dipinge:
Olindro al tutto par messo in oblio. Ma che sian fatte queste nozze vuole,
come ne la sua patria far si suole.

62
Non era però ver che questa usanza
che dir volea, ne la sua patria fosse: ma, perché in lei pensier mai non avanza, che spender possa altrove, imaginosse
una bugia, la qual le diè speranza
di far morir chi ‘l suo signor percosse: e disse di voler le nozze a guisa
de la sua patria, e ‘l modo gli devisa.

63
– La vedovella che marito prende,
deve, prima (dicea) ch’a lui s’appresse, placar l’alma del morto ch’ella offende, facendo celebrargli offici e messe,
in remission de le passate mende,
nel tempio ove di quel son l’ossa messe; e dato fin ch’al sacrificio sia,
alla sposa l’annel lo sposo dia:

64
ma ch’abbia in questo mezzo il sacerdote sul vino ivi portato a tale effetto
appropriate orazion devote,
sempre il liquor benedicendo, detto; indi che ‘l fiasco in una coppa vote,
e dia alli sposi il vino benedetto: ma portare alla sposa il vino tocca,
ed esser prima a porvi su la bocca. –

65
Tanacro, che non mira quanto importe ch’ella le nozze alla sua usanza faccia, le dice: – Pur che ‘l termine si scorte
d’essere insieme, in questo si compiaccia. – Né s’avede il meschin ch’essa la morte
d’Olindro vendicar così procaccia,
e sì la voglia ha in uno oggetto intensa, che sol di quello, e mai d’altro non pensa.

66
Avea seco Drusilla una sua vecchia, che seco presa, seco era rimasa.
A sé chiamolla, e le disse all’orecchia, sì che non poté udire uomo di casa:
– Un subitano tosco m’apparecchia,
qual so che sai comporre, e me lo invasa; c’ho trovato la via di vita torre
il traditor figliuol di Marganorre.

67
E me so come, e te salvar non meno: ma diferisco a dirtelo più ad agio. –
Andò la vecchia, e apparecchiò il veneno, ed acconciollo, e ritornò al palagio.
Di vin dolce di Candia un fiasco pieno trovò da por con quel succo malvagio,
e lo serbò pel giorno de le nozze;
ch’omai tutte l’indugie erano mozze.

68
Lo statuito giorno al tempio venne, di gemme ornata e di leggiadre gonne,
ove d’Olindro, come gli convenne,
fatto avea l’arca alzar su due colonne. Quivi l’officio si cantò solenne:
trasseno a udirlo tutti, uomini e donne, e lieto Marganor più de l’usato,
venne col figlio e con gli amici a lato.

69
Tosto ch’al fin le sante esequie foro, e fu col tosco il vino benedetto,
il sacerdote in una coppa d’oro
lo versò, come avea Drusilla detto. Ella ne bebbe quanto al suo decoro
si conveniva, e potea far l’effetto: poi diè allo sposo con viso giocondo
il nappo; e quel gli fe’ apparire il fondo.

70
Renduto il nappo al sacerdote, lieto per abbracciar Drusilla apre le braccia. Or quivi il dolce stile e mansueto
in lei si cangia e quella gran bonaccia. Lo spinge a dietro, e gli ne fa divieto, e par ch’arda negli occhi e ne la faccia; e con voce terribile e incomposta
gli grida: – Traditor, da me ti scosta!

71
Tu dunque avrai da me solazzo e gioia, io lagrime da te, martìri e guai?
Io vo’ per le mie man ch’ora tu muoia: questo è stato venen, se tu nol sai.
Ben mi duol c’hai troppo onorato boia, che troppo lieve e facil morte fai;
che mani e pene io non so sì nefande, che fosson pari al tuo peccato grande.

72
Mi duol di non vedere in questa morte il sacrificio mio tutto perfetto:
che s’io ‘l poteva far di quella sorte ch’era il disio, non avria alcun difetto. Di ciò mi scusi il dolce mio consorte:
riguardi al buon volere, e l’abbia accetto; che non potendo come avrei voluto,
io t’ho fatto morir come ho potuto.