This page contains affiliate links. As Amazon Associates we earn from qualifying purchases.
Language:
Published:
  • 1320
Buy it on Amazon Listen via Audible FREE Audible 30 days

si` udirai come in contraria parte
mover dovieti mia carne sepolta.

Mai non t’appresento` natura o arte
piacer, quanto le belle membra in ch’io rinchiusa fui, e che so’ ‘n terra sparte;

e se ‘l sommo piacer si` ti fallio
per la mia morte, qual cosa mortale dovea poi trarre te nel suo disio?

Ben ti dovevi, per lo primo strale
de le cose fallaci, levar suso
di retro a me che non era piu` tale.

Non ti dovea gravar le penne in giuso, ad aspettar piu` colpo, o pargoletta
o altra vanita` con si` breve uso.

Novo augelletto due o tre aspetta;
ma dinanzi da li occhi d’i pennuti rete si spiega indarno o si saetta>>.

Quali fanciulli, vergognando, muti
con li occhi a terra stannosi, ascoltando e se’ riconoscendo e ripentuti,

tal mi stav’io; ed ella disse: <Con men di resistenza si dibarba
robusto cerro, o vero al nostral vento o vero a quel de la terra di Iarba,

ch’io non levai al suo comando il mento; e quando per la barba il viso chiese,
ben conobbi il velen de l’argomento.

E come la mia faccia si distese,
posarsi quelle prime creature
da loro aspersion l’occhio comprese;

e le mie luci, ancor poco sicure,
vider Beatrice volta in su la fiera ch’e` sola una persona in due nature.

Sotto ‘l suo velo e oltre la rivera
vincer pariemi piu` se’ stessa antica, vincer che l’altre qui, quand’ella c’era.

Di penter si` mi punse ivi l’ortica
che di tutte altre cose qual mi torse piu` nel suo amor, piu` mi si fe’ nemica.

Tanta riconoscenza il cor mi morse,
ch’io caddi vinto; e quale allora femmi, salsi colei che la cagion mi porse.

Poi, quando il cor virtu` di fuor rendemmi, la donna ch’io avea trovata sola
sopra me vidi, e dicea: <>.

Tratto m’avea nel fiume infin la gola, e tirandosi me dietro sen giva
sovresso l’acqua lieve come scola.

Quando fui presso a la beata riva,
‘Asperges me’ si` dolcemente udissi, che nol so rimembrar, non ch’io lo scriva.

La bella donna ne le braccia aprissi; abbracciommi la testa e mi sommerse
ove convenne ch’io l’acqua inghiottissi.

Indi mi tolse, e bagnato m’offerse
dentro a la danza de le quattro belle; e ciascuna del braccio mi coperse.

<

Merrenti a li occhi suoi; ma nel giocondo lume ch’e` dentro aguzzeranno i tuoi
le tre di la`, che miran piu` profondo>>.

Cosi` cantando cominciaro; e poi
al petto del grifon seco menarmi,
ove Beatrice stava volta a noi.

Disser: < posto t’avem dinanzi a li smeraldi ond’Amor gia` ti trasse le sue armi>>.

Mille disiri piu` che fiamma caldi
strinsermi li occhi a li occhi rilucenti, che pur sopra ‘l grifone stavan saldi.

Come in lo specchio il sol, non altrimenti la doppia fiera dentro vi raggiava,
or con altri, or con altri reggimenti.

Pensa, lettor, s’io mi maravigliava,
quando vedea la cosa in se’ star queta, e ne l’idolo suo si trasmutava.

Mentre che piena di stupore e lieta
l’anima mia gustava di quel cibo
che, saziando di se’, di se’ asseta,

se’ dimostrando di piu` alto tribo
ne li atti, l’altre tre si fero avanti, danzando al loro angelico caribo.

<>, era la sua canzone, < che, per vederti, ha mossi passi tanti!

Per grazia fa noi grazia che disvele
a lui la bocca tua, si` che discerna la seconda bellezza che tu cele>>.

O isplendor di viva luce etterna,
chi palido si fece sotto l’ombra
si` di Parnaso, o bevve in sua cisterna,

che non paresse aver la mente ingombra, tentando a render te qual tu paresti
la` dove armonizzando il ciel t’adombra,

quando ne l’aere aperto ti solvesti?

Purgatorio: Canto XXXII

Tant’eran li occhi miei fissi e attenti a disbramarsi la decenne sete,
che li altri sensi m’eran tutti spenti.

Ed essi quinci e quindi avien parete
di non caler – cosi` lo santo riso a se’ traeli con l’antica rete! -;

quando per forza mi fu volto il viso
ver’ la sinistra mia da quelle dee, perch’io udi’ da loro un <>;

e la disposizion ch’a veder ee
ne li occhi pur teste’ dal sol percossi, sanza la vista alquanto esser mi fee.

Ma poi ch’al poco il viso riformossi
(e dico ‘al poco’ per rispetto al molto sensibile onde a forza mi rimossi),

vidi ‘n sul braccio destro esser rivolto lo glorioso essercito, e tornarsi
col sole e con le sette fiamme al volto.

Come sotto li scudi per salvarsi
volgesi schiera, e se’ gira col segno, prima che possa tutta in se’ mutarsi;

quella milizia del celeste regno
che procedeva, tutta trapassonne
pria che piegasse il carro il primo legno.

Indi a le rote si tornar le donne,
e ‘l grifon mosse il benedetto carco si`, che pero` nulla penna crollonne.

La bella donna che mi trasse al varco e Stazio e io seguitavam la rota
che fe’ l’orbita sua con minore arco.

Si` passeggiando l’alta selva vota,
colpa di quella ch’al serpente crese, temprava i passi un’angelica nota.

Forse in tre voli tanto spazio prese
disfrenata saetta, quanto eramo
rimossi, quando Beatrice scese.

Io senti’ mormorare a tutti <>;
poi cerchiaro una pianta dispogliata di foglie e d’altra fronda in ciascun ramo.

La coma sua, che tanto si dilata
piu` quanto piu` e` su`, fora da l’Indi ne’ boschi lor per altezza ammirata.

< col becco d’esto legno dolce al gusto, poscia che mal si torce il ventre quindi>>.

Cosi` dintorno a l’albero robusto
gridaron li altri; e l’animal binato: <>.

E volto al temo ch’elli avea tirato,
trasselo al pie` de la vedova frasca, e quel di lei a lei lascio` legato.

Come le nostre piante, quando casca
giu` la gran luce mischiata con quella che raggia dietro a la celeste lasca,

turgide fansi, e poi si rinovella
di suo color ciascuna, pria che ‘l sole giunga li suoi corsier sotto altra stella;

men che di rose e piu` che di viole
colore aprendo, s’innovo` la pianta, che prima avea le ramora si` sole.

Io non lo ‘ntesi, ne’ qui non si canta l’inno che quella gente allor cantaro,
ne’ la nota soffersi tutta quanta.

S’io potessi ritrar come assonnaro
li occhi spietati udendo di Siringa, li occhi a cui pur vegghiar costo` si` caro;

come pintor che con essempro pinga,
disegnerei com’io m’addormentai;
ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga.

Pero` trascorro a quando mi svegliai, e dico ch’un splendor mi squarcio` ‘l velo del sonno e un chiamar: <>.

Quali a veder de’ fioretti del melo
che del suo pome li angeli fa ghiotti e perpetue nozze fa nel cielo,

Pietro e Giovanni e Iacopo condotti
e vinti, ritornaro a la parola
da la qual furon maggior sonni rotti,

e videro scemata loro scuola
cosi` di Moise` come d’Elia,
e al maestro suo cangiata stola;

tal torna’ io, e vidi quella pia
sovra me starsi che conducitrice
fu de’ miei passi lungo ‘l fiume pria.

E tutto in dubbio dissi: <>.
Ond’ella: < nova sedere in su la sua radice.

Vedi la compagnia che la circonda:
li altri dopo ‘l grifon sen vanno suso con piu` dolce canzone e piu` profonda>>.

E se piu` fu lo suo parlar diffuso,
non so, pero` che gia` ne li occhi m’era quella ch’ad altro intender m’avea chiuso.

Sola sedeasi in su la terra vera,
come guardia lasciata li` del plaustro che legar vidi a la biforme fera.

In cerchio le facean di se’ claustro
le sette ninfe, con quei lumi in mano che son sicuri d’Aquilone e d’Austro.

< e sarai meco sanza fine cive
di quella Roma onde Cristo e` romano.

Pero`, in pro del mondo che mal vive, al carro tieni or li occhi, e quel che vedi, ritornato di la`, fa che tu scrive>>.

Cosi` Beatrice; e io, che tutto ai piedi d’i suoi comandamenti era divoto,
la mente e li occhi ov’ella volle diedi.

Non scese mai con si` veloce moto
foco di spessa nube, quando piove
da quel confine che piu` va remoto,

com’io vidi calar l’uccel di Giove
per l’alber giu`, rompendo de la scorza, non che d’i fiori e de le foglie nove;

e feri` ‘l carro di tutta sua forza;
ond’el piego` come nave in fortuna, vinta da l’onda, or da poggia, or da orza.

Poscia vidi avventarsi ne la cuna
del triunfal veiculo una volpe
che d’ogne pasto buon parea digiuna;

ma, riprendendo lei di laide colpe,
la donna mia la volse in tanta futa quanto sofferser l’ossa sanza polpe.

Poscia per indi ond’era pria venuta,
l’aguglia vidi scender giu` ne l’arca del carro e lasciar lei di se’ pennuta;

e qual esce di cuor che si rammarca,
tal voce usci` del cielo e cotal disse: <>.

Poi parve a me che la terra s’aprisse tr’ambo le ruote, e vidi uscirne un drago che per lo carro su` la coda fisse;

e come vespa che ritragge l’ago,
a se’ traendo la coda maligna,
trasse del fondo, e gissen vago vago.

Quel che rimase, come da gramigna
vivace terra, da la piuma, offerta forse con intenzion sana e benigna,

si ricoperse, e funne ricoperta
e l’una e l’altra rota e ‘l temo, in tanto che piu` tiene un sospir la bocca aperta.

Trasformato cosi` ‘l dificio santo
mise fuor teste per le parti sue,
tre sovra ‘l temo e una in ciascun canto.

Le prime eran cornute come bue,
ma le quattro un sol corno avean per fronte: simile mostro visto ancor non fue.

Sicura, quasi rocca in alto monte,
seder sovresso una puttana sciolta m’apparve con le ciglia intorno pronte;

e come perche’ non li fosse tolta,
vidi di costa a lei dritto un gigante; e baciavansi insieme alcuna volta.

Ma perche’ l’occhio cupido e vagante
a me rivolse, quel feroce drudo
la flagello` dal capo infin le piante;

poi, di sospetto pieno e d’ira crudo, disciolse il mostro, e trassel per la selva, tanto che sol di lei mi fece scudo

a la puttana e a la nova belva.

Purgatorio: Canto XXXIII

‘Deus, venerunt gentes’, alternando
or tre or quattro dolce salmodia,
le donne incominciaro, e lagrimando;

e Beatrice sospirosa e pia,
quelle ascoltava si` fatta, che poco piu` a la croce si cambio` Maria.

Ma poi che l’altre vergini dier loco
a lei di dir, levata dritta in pe`, rispuose, colorata come foco:

‘Modicum, et non videbitis me;
et iterum, sorelle mie dilette,
modicum, et vos videbitis me’.

Poi le si mise innanzi tutte e sette, e dopo se’, solo accennando, mosse
me e la donna e ‘l savio che ristette.

Cosi` sen giva; e non credo che fosse lo decimo suo passo in terra posto,
quando con li occhi li occhi mi percosse;

e con tranquillo aspetto <>,
mi disse, < ad ascoltarmi tu sie ben disposto>>.

Si` com’io fui, com’io dovea, seco,
dissemi: < a domandarmi omai venendo meco?>>.

Come a color che troppo reverenti
dinanzi a suo maggior parlando sono, che non traggon la voce viva ai denti.

avvenne a me, che sanza intero suono
incominciai: < voi conoscete, e cio` ch’ad essa e` buono>>.

Ed ella a me: < voglio che tu omai ti disviluppe,
si` che non parli piu` com’om che sogna.

Sappi che ‘l vaso che ‘l serpente ruppe fu e non e`; ma chi n’ha colpa, creda
che vendetta di Dio non teme suppe.

Non sara` tutto tempo sanza reda
l’aguglia che lascio` le penne al carro, per che divenne mostro e poscia preda;

ch’io veggio certamente, e pero` il narro, a darne tempo gia` stelle propinque,
secure d’ogn’intoppo e d’ogni sbarro,

nel quale un cinquecento diece e cinque, messo di Dio, ancidera` la fuia
con quel gigante che con lei delinque.

E forse che la mia narrazion buia,
qual Temi e Sfinge, men ti persuade, perch’a lor modo lo ‘ntelletto attuia;

ma tosto fier li fatti le Naiade,
che solveranno questo enigma forte sanza danno di pecore o di biade.

Tu nota; e si` come da me son porte,
cosi` queste parole segna a’ vivi
del viver ch’e` un correre a la morte.

E aggi a mente, quando tu le scrivi,
di non celar qual hai vista la pianta ch’e` or due volte dirubata quivi.

Qualunque ruba quella o quella schianta, con bestemmia di fatto offende a Dio,
che solo a l’uso suo la creo` santa.

Per morder quella, in pena e in disio cinquemilia anni e piu` l’anima prima
bramo` colui che ‘l morso in se’ punio.

Dorme lo ‘ngegno tuo, se non estima
per singular cagione esser eccelsa lei tanto e si` travolta ne la cima.

E se stati non fossero acqua d’Elsa
li pensier vani intorno a la tua mente, e ‘l piacer loro un Piramo a la gelsa,

per tante circostanze solamente
la giustizia di Dio, ne l’interdetto, conosceresti a l’arbor moralmente.

Ma perch’io veggio te ne lo ‘ntelletto fatto di pietra e, impetrato, tinto,
si` che t’abbaglia il lume del mio detto,

voglio anco, e se non scritto, almen dipinto, che ‘l te ne porti dentro a te per quello che si reca il bordon di palma cinto>>.

E io: < che la figura impressa non trasmuta, segnato e` or da voi lo mio cervello.

Ma perche’ tanto sovra mia veduta
vostra parola disiata vola,
che piu` la perde quanto piu` s’aiuta?>>.

<>, disse, < c’hai seguitata, e veggi sua dottrina come puo` seguitar la mia parola;

e veggi vostra via da la divina
distar cotanto, quanto si discorda da terra il ciel che piu` alto festina>>.

Ond’io rispuosi lei: < ch’i’ straniasse me gia` mai da voi, ne’ honne coscienza che rimorda>>.

<>,
sorridendo rispuose, < come bevesti di Lete` ancoi;

e se dal fummo foco s’argomenta,
cotesta oblivion chiaro conchiude
colpa ne la tua voglia altrove attenta.

Veramente oramai saranno nude
le mie parole, quanto converrassi
quelle scovrire a la tua vista rude>>.

E piu` corusco e con piu` lenti passi teneva il sole il cerchio di merigge,
che qua e la`, come li aspetti, fassi

quando s’affisser, si` come s’affigge chi va dinanzi a gente per iscorta
se trova novitate o sue vestigge,

le sette donne al fin d’un’ombra smorta, qual sotto foglie verdi e rami nigri
sovra suoi freddi rivi l’Alpe porta.

Dinanzi ad esse Eufrates e Tigri
veder mi parve uscir d’una fontana, e, quasi amici, dipartirsi pigri.

< che acqua e` questa che qui si dispiega da un principio e se’ da se’ lontana?>>.

Per cotal priego detto mi fu: <la bella donna: < dette li son per me; e son sicura
che l’acqua di Lete` non gliel nascose>>.

E Beatrice: < che spesse volte la memoria priva, fatt’ha la mente sua ne li occhi oscura.

Ma vedi Eunoe` che la` diriva:
menalo ad esso, e come tu se’ usa, la tramortita sua virtu` ravviva>>.

Come anima gentil, che non fa scusa,
ma fa sua voglia de la voglia altrui tosto che e` per segno fuor dischiusa;

cosi`, poi che da essa preso fui,
la bella donna mossesi, e a Stazio donnescamente disse: <>.

S’io avessi, lettor, piu` lungo spazio da scrivere, i’ pur cantere’ in parte
lo dolce ber che mai non m’avria sazio;

ma perche’ piene son tutte le carte
ordite a questa cantica seconda,
non mi lascia piu` ir lo fren de l’arte.

Io ritornai da la santissima onda
rifatto si` come piante novelle
rinnovellate di novella fronda,

puro e disposto a salire alle stelle.