Part 4 out of 4
potrai cercare, e non troverai ombra
degna piu` d'esser fitta in gelatina;
non quelli a cui fu rotto il petto e l'ombra
con esso un colpo per la man d'Artu`;
non Focaccia; non questi che m'ingombra
col capo si`, ch'i' non veggio oltre piu`,
e fu nomato Sassol Mascheroni;
se tosco se', ben sai omai chi fu.
E perche' non mi metti in piu` sermoni,
sappi ch'i' fu' il Camiscion de' Pazzi;
e aspetto Carlin che mi scagioni>>.
Poscia vid'io mille visi cagnazzi
fatti per freddo; onde mi vien riprezzo,
e verra` sempre, de' gelati guazzi.
E mentre ch'andavamo inver' lo mezzo
al quale ogne gravezza si rauna,
e io tremava ne l'etterno rezzo;
se voler fu o destino o fortuna,
non so; ma, passeggiando tra le teste,
forte percossi 'l pie` nel viso ad una.
Piangendo mi sgrido`: <
di Montaperti, perche' mi moleste?>>.
E io: <
poi mi farai, quantunque vorrai, fretta>>.
Lo duca stette, e io dissi a colui
che bestemmiava duramente ancora:
<
<
<
fu mia risposta, <
Ed elli a me: < Levati quinci e non mi dar piu` lagna,
che' mal sai lusingar per questa lama!>>.
Allor lo presi per la cuticagna,
e dissi: <
Ond'elli a me: <
se mille fiate in sul capo mi tomi>>.
Io avea gia` i capelli in mano avvolti,
e tratto glien'avea piu` d'una ciocca,
latrando lui con li occhi in giu` raccolti,
quando un altro grido`: <
se tu non latri? qual diavol ti tocca?>>.
<
io portero` di te vere novelle>>.
<
di quel ch'ebbe or cosi` la lingua pronta.
El piange qui l'argento de' Franceschi:
"Io vidi", potrai dir, "quel da Duera
la` dove i peccatori stanno freschi".
Se fossi domandato "Altri chi v'era?",
tu hai dallato quel di Beccheria
di cui sego` Fiorenza la gorgiera.
Gianni de' Soldanier credo che sia
piu` la` con Ganellone e Tebaldello,
ch'apri` Faenza quando si dormia>>.
Noi eravam partiti gia` da ello,
ch'io vidi due ghiacciati in una buca,
si` che l'un capo a l'altro era cappello;
e come 'l pan per fame si manduca,
cosi` 'l sovran li denti a l'altro pose
la` 've 'l cervel s'aggiugne con la nuca:
non altrimenti Tideo si rose
le tempie a Menalippo per disdegno,
che quei faceva il teschio e l'altre cose.
< che se tu a ragion di lui ti piangi, se quella con ch'io parlo non si secca>>. La bocca sollevo` dal fiero pasto Poi comincio`: < Ma se le mie parole esser dien seme Io non so chi tu se' ne' per che modo Tu dei saper ch'i' fui conte Ugolino, Che per l'effetto de' suo' mai pensieri, pero` quel che non puoi avere inteso, Breve pertugio dentro da la Muda m'avea mostrato per lo suo forame Questi pareva a me maestro e donno, Con cagne magre, studiose e conte In picciol corso mi parieno stanchi Quando fui desto innanzi la dimane, Ben se' crudel, se tu gia` non ti duoli Gia` eran desti, e l'ora s'appressava e io senti' chiavar l'uscio di sotto Io non piangea, si` dentro impetrai: Percio` non lacrimai ne' rispuos'io Come un poco di raggio si fu messo ambo le man per lo dolor mi morsi; e disser: "Padre, assai ci fia men doglia Queta'mi allor per non farli piu` tristi; Poscia che fummo al quarto di` venuti, Quivi mori`; e come tu mi vedi, gia` cieco, a brancolar sovra ciascuno, Quand'ebbe detto cio`, con li occhi torti Ahi Pisa, vituperio de le genti muovasi la Capraia e la Gorgona, Che' se 'l conte Ugolino aveva voce Innocenti facea l'eta` novella, Noi passammo oltre, la` 've la gelata Lo pianto stesso li` pianger non lascia, che' le lagrime prime fanno groppo, E avvegna che, si` come d'un callo, gia` mi parea sentire alquanto vento: Ond'elli a me: < E un de' tristi de la fredda crosta levatemi dal viso i duri veli, Per ch'io a lui: < Rispuose adunque: < i' son quel da le frutta del mal orto, < Cotal vantaggio ha questa Tolomea, E perche' tu piu` volentier mi rade come fec'io, il corpo suo l'e` tolto Ella ruina in si` fatta cisterna; Tu 'l dei saper, se tu vien pur mo giuso: < < che questi lascio` il diavolo in sua vece Ma distendi oggimai in qua la mano; Ahi Genovesi, uomini diversi Che' col peggiore spirto di Romagna e in corpo par vivo ancor di sopra. < Come quando una grossa nebbia spira, veder mi parve un tal dificio allotta; Gia` era, e con paura il metto in metro, Altre sono a giacere; altre stanno erte, Quando noi fummo fatti tanto avante, d'innanzi mi si tolse e fe' restarmi, Com'io divenni allor gelato e fioco, Io non mori' e non rimasi vivo: Lo 'mperador del doloroso regno che i giganti non fan con le sue braccia: S'el fu si` bel com'elli e` ora brutto, Oh quanto parve a me gran maraviglia l'altr'eran due, che s'aggiugnieno a questa e la destra parea tra bianca e gialla; Sotto ciascuna uscivan due grand'ali, Non avean penne, ma di vispistrello quindi Cocito tutto s'aggelava. Da ogne bocca dirompea co' denti A quel dinanzi il mordere era nulla < De li altri due c'hanno il capo di sotto, e l'altro e` Cassio che par si` membruto. Com'a lui piacque, il collo li avvinghiai; appiglio` se' a le vellute coste; Quando noi fummo la` dove la coscia volse la testa ov'elli avea le zanche, < Poi usci` fuor per lo foro d'un sasso, Io levai li occhi e credetti vedere e s'io divenni allora travagliato, < Non era camminata di palagio < ov'e` la ghiaccia? e questi com'e` fitto Ed elli a me: < Di la` fosti cotanto quant'io scesi; E se' or sotto l'emisperio giunto fu l'uom che nacque e visse sanza pecca: Qui e` da man, quando di la` e` sera; Da questa parte cadde giu` dal cielo; e venne a l'emisperio nostro; e forse Luogo e` la` giu` da Belzebu` remoto d'un ruscelletto che quivi discende Lo duca e io per quel cammino ascoso salimmo su`, el primo e io secondo,
dimmi 'l perche'>>, diss'io, <
sappiendo chi voi siete e la sua pecca,
nel mondo suso ancora io te ne cangi,
quel peccator, forbendola a'capelli
del capo ch'elli avea di retro guasto.
gia` pur pensando, pria ch'io ne favelli.
che frutti infamia al traditor ch'i' rodo,
parlar e lagrimar vedrai insieme.
venuto se' qua giu`; ma fiorentino
mi sembri veramente quand'io t'odo.
e questi e` l'arcivescovo Ruggieri:
or ti diro` perche' i son tal vicino.
fidandomi di lui, io fossi preso
e poscia morto, dir non e` mestieri;
cioe` come la morte mia fu cruda,
udirai, e saprai s'e' m'ha offeso.
la qual per me ha 'l titol de la fame,
e che conviene ancor ch'altrui si chiuda,
piu` lune gia`, quand'io feci 'l mal sonno
che del futuro mi squarcio` 'l velame.
cacciando il lupo e ' lupicini al monte
per che i Pisan veder Lucca non ponno.
Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
s'avea messi dinanzi da la fronte.
lo padre e ' figli, e con l'agute scane
mi parea lor veder fender li fianchi.
pianger senti' fra 'l sonno i miei figliuoli
ch'eran con meco, e dimandar del pane.
pensando cio` che 'l mio cor s'annunziava;
e se non piangi, di che pianger suoli?
che 'l cibo ne solea essere addotto,
e per suo sogno ciascun dubitava;
a l'orribile torre; ond'io guardai
nel viso a' mie' figliuoi sanza far motto.
piangevan elli; e Anselmuccio mio
disse: "Tu guardi si`, padre! che hai?".
tutto quel giorno ne' la notte appresso,
infin che l'altro sol nel mondo uscio.
nel doloroso carcere, e io scorsi
per quattro visi il mio aspetto stesso,
ed ei, pensando ch'io 'l fessi per voglia
di manicar, di subito levorsi
se tu mangi di noi: tu ne vestisti
queste misere carni, e tu le spoglia".
lo di` e l'altro stemmo tutti muti;
ahi dura terra, perche' non t'apristi?
Gaddo mi si gitto` disteso a' piedi,
dicendo: "Padre mio, che' non mi aiuti?".
vid'io cascar li tre ad uno ad uno
tra 'l quinto di` e 'l sesto; ond'io mi diedi,
e due di` li chiamai, poi che fur morti.
Poscia, piu` che 'l dolor, pote' 'l digiuno>>.
riprese 'l teschio misero co'denti,
che furo a l'osso, come d'un can, forti.
del bel paese la` dove 'l si` suona,
poi che i vicini a te punir son lenti,
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
si` ch'elli annieghi in te ogne persona!
d'aver tradita te de le castella,
non dovei tu i figliuoi porre a tal croce.
novella Tebe, Uguiccione e 'l Brigata
e li altri due che 'l canto suso appella.
ruvidamente un'altra gente fascia,
non volta in giu`, ma tutta riversata.
e 'l duol che truova in su li occhi rintoppo,
si volge in entro a far crescer l'ambascia;
e si` come visiere di cristallo,
riempion sotto 'l ciglio tutto il coppo.
per la freddura ciascun sentimento
cessato avesse del mio viso stallo,
per ch'io: <
veggendo la cagion che 'l fiato piove>>.
grido` a noi: <
si` ch'io sfoghi 'l duol che 'l cor m'impregna,
un poco, pria che 'l pianto si raggeli>>.
al fondo de la ghiaccia ir mi convegna>>.
che qui riprendo dattero per figo>>.
Ed elli a me: <
che spesse volte l'anima ci cade
innanzi ch'Atropos mossa le dea.
le 'nvetriate lagrime dal volto,
sappie che, tosto che l'anima trade
da un demonio, che poscia il governa
mentre che 'l tempo suo tutto sia volto.
e forse pare ancor lo corpo suso
de l'ombra che di qua dietro mi verna.
elli e` ser Branca Doria, e son piu` anni
poscia passati ch'el fu si` racchiuso>>.
e mangia e bee e dorme e veste panni>>.
non era ancor giunto Michel Zanche,
nel corpo suo, ed un suo prossimano
che 'l tradimento insieme con lui fece.
aprimi li occhi>>. E io non gliel'apersi;
e cortesia fu lui esser villano.
d'ogne costume e pien d'ogne magagna,
perche' non siete voi del mondo spersi?
trovai di voi un tal, che per sua opra
in anima in Cocito gia` si bagna,
disse 'l maestro mio <
o quando l'emisperio nostro annotta,
par di lungi un molin che 'l vento gira,
poi per lo vento mi ristrinsi retro
al duca mio; che' non li` era altra grotta.
la` dove l'ombre tutte eran coperte,
e trasparien come festuca in vetro.
quella col capo e quella con le piante;
altra, com'arco, il volto a' pie` rinverte.
ch'al mio maestro piacque di mostrarmi
la creatura ch'ebbe il bel sembiante,
<
nol dimandar, lettor, ch'i' non lo scrivo,
pero` ch'ogne parlar sarebbe poco.
pensa oggimai per te, s'hai fior d'ingegno,
qual io divenni, d'uno e d'altro privo.
da mezzo 'l petto uscia fuor de la ghiaccia;
e piu` con un gigante io mi convegno,
vedi oggimai quant'esser dee quel tutto
ch'a cosi` fatta parte si confaccia.
e contra 'l suo fattore alzo` le ciglia,
ben dee da lui proceder ogne lutto.
quand'io vidi tre facce a la sua testa!
L'una dinanzi, e quella era vermiglia;
sovresso 'l mezzo di ciascuna spalla,
e se' giugnieno al loco de la cresta:
la sinistra a vedere era tal, quali
vegnon di la` onde 'l Nilo s'avvalla.
quanto si convenia a tanto uccello:
vele di mar non vid'io mai cotali.
era lor modo; e quelle svolazzava,
si` che tre venti si movean da ello:
Con sei occhi piangea, e per tre menti
gocciava 'l pianto e sanguinosa bava.
un peccatore, a guisa di maciulla,
si` che tre ne facea cosi` dolenti.
verso 'l graffiar, che talvolta la schiena
rimanea de la pelle tutta brulla.
disse 'l maestro, <
quel che pende dal nero ceffo e` Bruto:
vedi come si storce, e non fa motto!;
Ma la notte risurge, e oramai
e` da partir, che' tutto avem veduto>>.
ed el prese di tempo e loco poste,
e quando l'ali fuoro aperte assai,
di vello in vello giu` discese poscia
tra 'l folto pelo e le gelate croste.
si volge, a punto in sul grosso de l'anche,
lo duca, con fatica e con angoscia,
e aggrappossi al pel com'om che sale,
si` che 'n inferno i' credea tornar anche.
disse 'l maestro, ansando com'uom lasso,
<
e puose me in su l'orlo a sedere;
appresso porse a me l'accorto passo.
Lucifero com'io l'avea lasciato,
e vidili le gambe in su` tenere;
la gente grossa il pensi, che non vede
qual e` quel punto ch'io avea passato.
e gia` il sole a mezza terza riede>>.
la` 'v'eravam, ma natural burella
ch'avea mal suolo e di lume disagio.
<
si` sottosopra? e come, in si` poc'ora,
da sera a mane ha fatto il sol tragitto?>>.
al pel del vermo reo che 'l mondo fora.
quand'io mi volsi, tu passasti 'l punto
al qual si traggon d'ogne parte i pesi.
ch'e` contraposto a quel che la gran secca
coverchia, e sotto 'l cui colmo consunto
tu hai i piedi in su picciola spera
che l'altra faccia fa de la Giudecca.
e questi, che ne fe' scala col pelo,
fitto e` ancora si` come prim'era.
e la terra, che pria di qua si sporse,
per paura di lui fe' del mar velo,
per fuggir lui lascio` qui loco voto
quella ch'appar di qua, e su` ricorse>>.
tanto quanto la tomba si distende,
che non per vista, ma per suono e` noto
per la buca d'un sasso, ch'elli ha roso,
col corso ch'elli avvolge, e poco pende.
intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
e sanza cura aver d'alcun riposo,
tanto ch'i' vidi de le cose belle
che porta 'l ciel, per un pertugio tondo.